Omelia della Messa della Notte – Natale 2017

25-12-2017

«In mezzo alle genti narrate la sua gloria e a tutti i popoli dite le sue meraviglie».

Siamo qui per narrare la gloria del Signore e parlare delle sue meraviglie.

Ciò che più è evidente è un bambino, la vita di un bambino: un bambino che viene alla luce, che nasce, ci parla delle meraviglie di Dio.

La vita di un uomo è splendore di Dio, è un suo dono, un tocco del suo amore. Lo ricordo ogni volta che celebro le cresime e pongo il sigillo dello Spirito Santo con il crisma. È un atto di fede della Chiesa che vede nella vita di una persona, di ogni persona, risplendere la bellezza di Dio.

Quanto rispetto per la vita, in ogni momento, dal suo nascere al suo morire!

La vita è di Dio, è un suo dono, una delle meraviglie di cui dobbiamo parlare e che manifesta la sua gloria. Disprezzare la vita di un uomo è offendere la gloria di Dio.

C’è una seconda meraviglia che dobbiamo contemplare.

Dio, l’onnipotente, l’eterno, colui che abita nei cieli, il creatore e Signore di ogni cosa, Egli che ci sovrasta e che i profeti ci hanno insegnato ad attendere come figlio sulle cui spalle è il potere e il cui nome sarà consigliere ammirabile, Dio potente, padre per sempre, principe della pace, ci vuole parlare di sé e del suo amore. Ci ha chiamati a sé in mille modi, ma alla fine ha dovuto percorrere a una strada imprevedibile per Dio: si è fatto piccolo, ci ha attratti provocando il nostro amore, la nostra stessa capacità di amare.

Si è fatto bambino, neonato. I neonati attraggono per la loro fragilità!

Vi immaginate Maria che cambia i pannolini…di Dio? O che cerca di capire perché piange? È impensabile!

Perché? Perché questo abbassarsi, umiliarsi? Perché chiedere il nostro aiuto?

Sì, perché c’eravamo anche noi in quelle mani che accarezzavano, c’eravamo anche noi in quei pastori che hanno creduto e si sono messi in cammino, c’eravamo anche noi in quel padre terreno che sosteneva, sorpreso, Maria e il bambino.

In Maria, la Madre di Dio e nostra rappresentante, resa da lui stesso bellissima come un’opera d’arte divina, Dio ci ha resi capaci di tenerezza, di dolcezza: abbiamo modulato voce e silenzi in modo adeguato per un bambino, abbiamo accarezzato con delicatezza il Signore Gesù, abbiamo offerto il nostro latte, abbiamo tenuto tra le braccia e cullato il Salvatore del mondo. Che gioia e consolazione tornare con la memoria e la fede a quel momento!

Dal cielo Dio è sceso sulla terra e si è posto nelle nostre mani e noi lo abbiamo amato, lo abbiamo baciato, accarezzato!

Questa memoria è di grande consolazione: ci lascia stupiti e meravigliati. Dobbiamo cantare: «Oggi è nato per noi il Salvatore».
Anzi dobbiamo «narrare a tutti i popoli le sue meraviglie», ma soprattutto sussurrarlo al nostro compagno o compagna (sì, perché oggi è così anche per tanti cristiani), dobbiamo raccontarlo ai nostri bambini, ai nostri amici e colleghi di lavoro: chissà che non vogliano farsi loro stessi annunciatori di questa notizia bellissima: che Dio ci conquista, ci chiama nell’amore e con l’amore. E rende credibile l’amore così che osiamo impegnarci per sempre e con tutto noi stessi.

Anche noi non dobbiamo temere: di Dio non dobbiamo avere paura, ma tenerezza.

Questa storia del Natale ci insegna anche uno stile di vita. Gli altri non li conquistiamo spaventandoli, le nostre relazioni non possono essere costruite sulla paura e sulla soggezione, con la durezza e l’ostinazione, ma facendo il primo passo, offrendo l’altra guancia, perdonando, manifestando le nostre debolezze, consegnandoci nelle loro mani, con fiducia.

Dio è stato coerente con questo stile tanto che nella sua vita Gesù è sempre stato tra gli ultimi fino a salire sulla croce per amore.

Dunque il segno di Dio dato ai pastori è un bambino adagiato in una mangiatoia, perché non c’era un altro posto per loro. Mi sembra che si intenda che queste sensibilità e queste logiche evangeliche e divine non sono accolte dal mondo.

Ancora oggi i segni di Dio sono nascosti nei gesti di amore, nei luoghi di esclusione, di povertà, di sofferenza: sono le mangiatoie di oggi. Domani porterò le vostre preghiere, la vostra dolcezza di cuore alle Cucine economiche popolari, uno dei tanti luoghi dove “giacciono” uomini e donne che come Gesù sollecitano il nostro amore. E chissà se, portando loro l’annuncio di un bambino avvolto in fasce adagiato nella mangiatoia qualcuno di loro non si metta in cammino come i pastori per vedere questo avvenimento.

Dove andranno? O meglio dove possiamo andare, noi pastori di oggi, raggiunti dagli angeli, per vedere l’avvenimento della debolezza che chiede amore? O meglio di Dio che si fa debole per educarci ad amare?

È inutile attraversare i cieli e gli oceani.
Questi avvenimenti sono spesso nella porta accanto e nella vita di tutti i giorni: sapeste quanti per Grazia di Dio, noi diaconi, presbiteri e vescovo possiamo incontrarne!

I pastori ascoltano il coro degli angeli e vanno a vedere: che il Signore lavi i nostri occhi e guarisca il nostro udito. Gesù lo ha già fatto con Bartimeo, con il cieco nato, con i sordomuti.

Ci aiuti con la forza di quell’acqua che è giunta fino a noi, scaturita dal fianco di Gesù e raccolta nei nostri fonti battesimali, con la quale siamo stati immersi nella sua Pasqua. Ci aiuti a vedere e ascoltare come ha fatto con i pastori. Ci unisca agli angeli per cantare la sua gloria.

«Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea…!». Si dice poco della sua presenza semplice, discreta. Forse anche quella descrive la nostra presenza, quella di chi asseconda ma non si sente totalmente coinvolto: cose troppo belle, troppo grandi per noi!

Soprattutto se consideriamo la nostra personale condizione di povera gente.

Ma nel presepe c’è anche lui. C’eravamo anche noi con le nostre titubanze, con le nostre sensazioni di indegnità, con le nostre perplessità e i nostri peccati.

C’eravamo anche noi con Maria Giuseppe e pastori!

E c’è Gesù in mezzo a noi, stanotte!

Come allora, più di allora, perché è risorto!

Buon Natale.

+ Claudio, vescovo

 

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