Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

Padova, basilica Cattedrale
11-06-2023

SOLENNITÀ del SANTISSIMO CORPO e SANGUE di CRISTO
Domenica 11 giugno 2023
Padova, basilica Cattedrale

Ci sono domande che spesso abitano il nostro cuore: alcune le facciamo emergere e le esprimiamo, altre le teniamo nel silenzio della nostra interiorità, altre non riusciamo a elaborarle e a formularle. Ci sono sempre alcune domande che ci fanno partire nella speranza di trovare le risposte che cerchiamo.

Quali domande ci hanno portati qui e ci portano nel Giorno del Signore ad alzarci, a partire, a convergere per celebrare insieme? Quali domande abitano il nostro cuore in questo giorno in cui porteremo tra le strade e le piazze della nostra città il Santissimo Sacramento? Le pietre, le case, i palazzi, le chiese, i portici e le strade narrano di un popolo che nel tempo ha costruito, si è ingegnato e ha voluto lasciare un segno del proprio passaggio. Un popolo che nei secoli si è radunato tante volte nelle piazze o in questa Chiesa Cattedrale per celebrare gli eventi significativi della propria storia di comunità civile e religiosa.
Cosa significherà per noi rinnovare questa Tradizione in questa Solennità del “Corpus Domini” quando usciremo da questo luogo per portare processionalmente e adoranti il Santissimo Sacramento? Lui camminerà davanti a noi, in mezzo a noi, con noi. Proprio Lui che ogni Domenica ci raccoglie a partire dalle nostre storie, dalle nostre vicende, dalle nostre case, dalla frammentazione dei nostri vissuti per radunarci insieme.

Cosa evidenzierà per noi camminare per le strade della nostra città, immersi in una storia più grande di noi, in una storia di arte ma anche delle contraddizioni di ieri e di oggi?
I nostri passi accompagneranno il Mistero: qualcuno al Suo passaggio rimarrà indaffarato nelle proprie cose, qualcun altro rivivrà un ricordo e tornerà per qualche istante bambino vivendo una dolce nostalgia; qualcuno si farà il segno della croce e si inginocchierà mentre qualcun altro riderà o sarà indifferente. Forse qualcuno ci fotograferà come espressione di folclore! Eppure, quel Mistero passerà accanto nuovamente ad una molteplicità di storie a noi sconosciute, sarà comunque visto o contemplato e, al di là di qualsiasi reazione, è offerto anche per interpellare con il suo sguardo gli occhi e il cuore delle persone. Noi camminiamo con Lui perché quel Mistero ancora ci affascina e ci interroga, ci affida la vita e le storie degli uomini e delle donne che sfioriamo oppure che incontriamo: quel Mistero ci libera dal rischio dell’abitudine e del devozionismo, perché è una realtà che vive.

Noi siamo quel popolo che cammina nel deserto della propria storia, un popolo ribelle, stanco, smarrito, a volte indifferente, altre volte adagiato e passivo. Siamo un popolo a cui il Signore, attraverso Mosè, come abbiamo ascoltato nella prima lettura tratta dal libro del Deuteronomio, chiede di non dimenticare ma di “ricordare”, di richiamare al cuore le esperienze con le quali Dio ha accompagnato e si è fatto presente con la sua manna nel cammino dell’Esodo e con i piccoli e grandi segni negli esodi della nostra vita. Ed è il comando che Gesù ha affidato ai suoi discepoli e alla sua comunità: «Fate questo in memoria di me». Ogni Domenica noi siamo invitati e chiamati a radunarci attorno a Lui e con i fratelli e le sorelle a “fare memoria” di tutto ciò che i nostri occhi hanno visto, di tutto ciò che le nostre orecchie hanno udito, di tutto ciò che nella vita e nelle esperienze abbiamo toccato e sperimentato.

Andando al Vangelo di questa Solennità, ciò che colpisce nel Vangelo di Giovanni è il fatto che l’evangelista non senta l’esigenza di narrare l’istituzione dell’Eucarestia. Giovanni, in realtà, è consapevole che la comunità a cui scrive possiede il tesoro delle narrazioni dei Sinottici e di Paolo. Sente, tuttavia, la necessità di richiamare il valore e il senso dell’Eucarestia narrando il segno della condivisione dei pani e dei pesci, con il discorso che ne segue nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6) e con il gesto spiazzante della lavanda dei piedi, durante l’Ultima Cena (Gv 13). L’Eucarestia, infatti, non è una semplice ritualità e nemmeno un mistero intimo e personale, ma ciò che si celebra va a qualificare le relazioni nella comunità, il rapporto con il prossimo, la compassione per gli ultimi, il sentirci parte di un popolo e responsabili del mondo di oggi, con tutte le sue sfide e contraddizioni. E non ci può essere Eucarestia senza un’apertura del cuore, senza un allargamento dei propri orizzonti, senza una capacità di condivisione, senza un interesse per l’altro che diventa coinvolgimento e un’assunzione di responsabilità. Chi celebra l’Eucarestia diventa uomo politico, donna che costruisce la città, diventa missionario, evangelizzatore, come stiamo dicendo nel sinodo, in forza del battesimo.

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo»: riconoscere, adorare e ricevere quel Pane significa accogliere la sua Sapienza, la sua Persona che si è incarnata e continua a incarnarsi dentro questa storia, che ha assunto e assume la nostra umanità, la nostra fragilità e la nostra debolezza. Nelle parole di Gesù c’è l’invito a “mangiare la sua carne e a bere il suo sangue”. Non siamo chiamati a un semplice aprire la bocca e a “consumare” frettolosamente la sua presenza, ma a masticare nell’interiorità, con calma, percependo il gusto della sua Presenza, assimilando la sua Storia e la sua Parola. “Bere il suo sangue” significa essere disposti ad assumere lo stile del Vangelo, del coraggio, del “dare la vita per”, della coerenza e della testimonianza. Quindi, celebrare e adorare l’Eucarestia per noi richiede la capacità di accogliere fino in fondo la logica dell’Incarnazione, guarendo da ogni forma di ritualismo, di individualismo e di indifferenza, sentendoci parte di un Corpo mistico, nella logica del dono e del servizio. È in questo modo che Gesù viene e sta in mezzo a noi e noi possiamo sperimentarlo come il Risorto e il Vivente. Ciò che celebriamo è la fonte alla quale attingere la credibilità dell’amore, l’esempio da adempiere nel servizio ai fratelli e alle sorelle. Ci inginocchiamo davanti al Suo Corpo e lo accogliamo nel Suo Mistero per creare uno spazio di intimità nel quale “rimanere in Lui” e perché Lui possa “rimanere in noi”, cioè il culmine della relazione. Proprio questa relazione ci permette di inginocchiarci con rispetto dinanzi il mistero della storia dei fratelli e delle sorelle e di spezzare insieme a loro il pane della fraternità.

Camminiamo ancora oggi per le strade e per le piazze con Lui, affidando i fratelli e le sorelle che vivono, soffrono, lottano, sperano e credono come noi e con noi ed annunciando che “Il Signore è con noi”!

+ Claudio Cipolla, vescovo

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