Conclusione del Sinodo diocesano (2024)

Chiesa dell'Opera della Provvidenza S. Antonio – Sarmeola di Rubano
25-02-2024

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DI CHIUSURA DEL SINODO DIOCESANO

Opera della Provvidenza S. Antonio – Sarmeola di Rubano (Pd)

Domenica 25 febbraio 2024

Omelia

Siamo oggi arrivati ad un momento – la conclusione del sinodo diocesano – che risponde alle attese di tanti cristiani e di tante comunità della nostra Chiesa e che vogliamo mettere nelle mani del Signore. Lo vivo con emozione anche perché sento il peso della responsabilità per le indicazioni che al termine della celebrazione vi consegnerò. È grande però la fiducia di non essere lasciato solo nel continuare a percorrere il sentiero che abbiamo intrapreso insieme per servire la nostra Chiesa diocesana, le sue comunità e la loro comunione con la Chiesa universale. È mio desiderio indicare prospettive e orizzonti comunitari, con quell’atteggiamento mariano che rende docili all’opera dello Spirito del Padre e di Gesù. Oggi, in questa chiesa dell’Opera della Provvidenza, che intendo rendere Santuario mariano della diocesi guardiamo a Colei che per prima ha accolto Gesù, lo ha accompagnato e con la sua presenza silenziosa lo ha annunciato. Maria Vergine madre della Provvidenza, ci aiuti a vivere la missione che lo Spirito, nel battesimo ci ha affidato! Sono certo infatti che questi sono anche gli atteggiamenti interiori che lo Spirito ha messo nei nostri cuori.

Siamo sostenuti dall’esperienza non solo di questi anni di Sinodo ma anche dalla lunga e bella sinodalità ordinaria, maturata a partire soprattutto dai tempi del vescovo Filippo Franceschi fino ad oggi. Siamo stati arricchiti anche da sensibilità sociali e spirituali rinnovate dal Concilio e continuamente approfondite da percorsi di formazione e da provocazioni della vita e della cultura in cui siamo inseriti: sono le strade degli uomini e delle donne di oggi lungo le quali siamo certi di incontrare anche il Signore Gesù Risorto. Ringrazio quindi per la loro affettuosa presenza i rappresentanti delle diverse Istituzioni locali e delle altre chiese cristiane e tutti voi che, con le vostre vite e le vostre vocazioni, diffondete il santo Vangelo nella nostra vasta diocesi. Un grazie particolare alla segreteria e alla presidenza del sinodo, a don Leopoldo Voltan, in particolare, per il generoso e infaticabile lavoro, a tutti voi componenti dell’Assemblea sinodale, a quanti si sono resi disponibili negli anni di preparazione a partecipare alle varie proposte, a quanti nelle nostre Comunità hanno sostenuto il Sinodo con la preghiera silenziosa o si sono messi a disposizione per facilitare i lavori e animare la preghiera del Sinodo nelle varie sessioni.

Sono consapevole che il mio servizio di vescovo è anzitutto un servizio alla comunione e all’unità della nostra Chiesa diocesana e quindi offro con umiltà il mio contributo perché gli orizzonti spirituali che il Signore indica per la nostra Chiesa e che la storia e la società di oggi domandano, siano dischiusi generosamente a tutti. L’unità è data dal territorio, ma soprattutto dalla condivisione di quella storia che ha dato forma alle caratteristiche della nostra fede, molto simili a quelle delle Chiese sorelle che vivono nei territori vicini, eppure diverse perché diverse sono le persone che l’hanno scritta con le loro vite. 

Dopo essere stati a Cana, alla festa di nozze, dove abbiamo assaporato il vino nuovo e più buono donato da Gesù, in questa seconda domenica di Quaresima siamo invitati a salire con lui, come Pietro, Giacomo e Giovanni, sul Tabor. Il trasfigurarsi di Gesù di fronte ai suoi discepoli è incoraggiamento a proseguire il cammino quaresimale verso la Pasqua. Insegna però anche a guardare l’invisibile, a vedere lo splendore bianchissimo, e ad ascoltare la voce che viene dal cielo. Insegna a guardare avanti, in alto, in profondità. Insegna a credere nel futuro preparato da Gesù e a non lasciarsi spaventare dalla sofferenza che caratterizza la sua croce, come anche le croci degli altri uomini e donne. Visione ed ascolto riservati per poco tempo soltanto ai tre discepoli, nei quali potremmo riconoscerci: come loro anche noi sappiamo che scesi dal monte, dovremo passare dalla visione alla realtà della Pasqua che affida a discepoli e discepole la missione di annunciare a tutti quello che avevano sperimentato turbati ed attoniti: il Signore è risorto

Anche noi viviamo di speranza, di quella stessa speranza che è stata accesa nel cuore dei tre i discepoli.

La Chiesa infatti scende dal cielo come una sposa adorna di gioielli. La conosciamo se la speranza guida lo sguardo all’avvenire, al futuro, là dove ci vediamo vestiti di quella veste bianca che ci è stata consegnata nel battesimo, dove vediamo trasfigurata la nostra storia vestita dei tratti della comunione, della gioia, della vita, della pace, della giustizia, dell’amore…

Questa assemblea è icona della trasfigurazione di Gesù: siamo qui insieme, con un cuore solo e un’anima sola, con lo sguardo rivolto alla Parola del Signore, anche noi attoniti e stupiti dalla visione del grande mosaico del Cristo risorto; ci riconosciamo fratelli e sorelle invitati dal Padre alla stessa mensa, quella alla quale presta servizio come diacono Gesù stesso; siamo qui in una casa che ospita da quasi settant’anni centinaia di fratelli e sorelle che ci privilegiamo di curare, come l’oste della locanda lungo la strada che scende da Gerusalemme a Gerico, come avrebbe fatto Gesù. E per imparare a prenderci cura sempre di tutti.

Questa assemblea, con tutte le sue diversità, in questo luogo, è dunque raffigurazione di ciò che vuole diventare e con queste caratteristiche vuole camminare verso il domani. Questa assemblea è Cana e sa che l’attende il vino buono, è il monte alto dove vede se stessa trasfigurata insieme con Gesù. 

Alla luce del percorso di discernimento comunitario, ho individuato e selezionato alcuni “bagliori” verso cui si è rivolto il nostro interesse non solo emotivo ma anche spirituale nel percorso che abbiamo condiviso: qui ho percepito il soffio dello Spirito!

La prima luce riguarda l’esperienza di comunità. Siamo la Chiesa unica ed universale che vive in questi territori e in questa storia, formata da tante e diverse comunità, ognuna delle quali ha una sua identità, ma soprattutto crede con fermezza che il Signore è il suo custode e da lui ha tutto origine e trova il suo compimento: ogni comunità è unica ed è irripetibile come lo sono le persone che la compongono. Oggi si manifesta il bisogno che le comunità, in particolare quelle che definiamo parrocchia, diventino luoghi di fraternità e di invio in missione: comunità fraterne e missionarie. Ce lo ricordavano anche i nostri giovani nel 2018 nella lettera conclusiva del loro Sinodo quando quei 5.000 parlavano alle comunità di noi adulti invitandole ad essere significative e credibili, fraterne e missionarie. Corrisponde anche a quella indicazione spirituale che Papa Francesco ci ha consegnato parlando di “discepoli-missionari”, non discepoli “e” missionari. E così non comunità fraterne “e” missionarie ma missionarie perché fraterne.

La seconda grande luminosità, strettamente connessa, anzi immediata conseguenza della dimensione missionaria, riguarda la riscoperta della nostra chiamata ad essere evangelizzatori. A partire dagli adulti e dai giovani le nostre comunità sono nella necessità di rivedere i propri stili di vita perché siano ispirati al Vangelo e siano Vangelo. L’annuncio del Vangelo e la sua accoglienza nelle famiglie, nei piccoli gruppi, nelle comunità sono richiesti non per costruire élite ma per essere ricchi di quel tesoro di cui tanti nostri amici sentono il bisogno, interpretati molto bene dal salmo che dice “Come una cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te o Dio”.

Ho raccolto un terzo raggio di luce dai nostri incontri. Nasce dalla lettura della realtà storica nella quale viviamo. Si tratta di una delle mediazioni necessarie per rendere possibile il discepolato: i discepoli costituiscono una comunità concreta, anzi molte comunità che tra loro si riconoscono sorelle e che si trovano nella condizione di aiutarsi e sostenersi reciprocamente, condividendo, quando necessario, anche carismi e doni ministeriali. Poiché siamo molti e viviamo su territori diversi occorre che ci diamo una organizzazione per poterci aiutare reciprocamente. Parlare di vicariati, di collaborazioni pastorali e di parrocchie, di presbiteri e diaconi, di ministeri istituiti e battesimali, di carismi presenti grazie alla vita consacrata e ai movimenti significa anche andare sul concreto, porre indicatori, stabilire tempi, darsi appuntamenti, indicare sedi di incontro. Occorre però sempre ricordarci che si tratta di strumenti, non di fini. Possono dunque cambiare con il modificarsi delle condizioni storiche in cui viviamo. Adesso è tempo di osare qualche tentativo di rinnovamento.

Infine ho sentito non solo un sussurro ma un richiamo a voce alta: le nostre comunità non possono restare chiuse. Chiunque deve sentirsi accolto così com’è, senza pregiudizi. Deve sentirsi libero di entrare ed uscire; l’unico legame vicendevole è l’amore, la stima reciproca, la carità. Anche in questo caso abbiamo una lunga storia che testimonia quanto finora il Signore ci ha aiutati ed è stato fedele e quanto la nostra Chiesa ha saputo amare e servire chi è più in difficoltà. Dobbiamo cercare le nuove forme di sofferenza, di discriminazione, di violenza ed essere braccia pronte all’abbraccio, porta aperta all’accoglienza, fratelli e sorelle, compagni di strada. Senza pietismi o assistenzialismi, ma per giustizia e per carità. Nessuno escluso – direbbe Papa Francesco – riproponendoci gli atteggiamenti evangelici di Gesù.

Ripartiamo dunque da Cana; scendiamo dal monte e con Gesù, Maestro e Signore, camminiamo senza indugio verso Gerusalemme.

              Aiuta noi, o Signore, che siamo la tua Chiesa, il segno della tua presenza, ad essere conformi alla chiamata di discepoli-missionari, fedeli al vangelo e attenti alla storia nella quale siamo immersi.

+ Claudio Cipolla
vescovo di Padova

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