Narrare il dolore: accompagnare le parole del dolore

di Livia Cadei da La Famiglia 51/261 (annuario 2017. Rivista di problemi familiari)

Il dolore è scomparso. La nostra società ha avviato da tempo un processo culturale in cui malattia e morte tendono ad essere occultati, così che Philippe Ariès parafrasando Geoffrey Gorer dichiarava: “non sono più i bambini a nascere sotto i cavoli, ma i vecchi a scomparire tra i fiori”.                             Se un’esperienza non è sostenuta dal linguaggio e se non sono disponibili i codici per esprimerla, anche il suo senso si affievolisce. La parola, infatti, organizzazione significante, rende accessibile l’esperienza e la sua elaborazione.  In particolare, il fenomeno a cui si assiste è la mancanza di un linguaggio socialmente condiviso che offra alle persone gli schemi mentali e le parole in grado di esprimere la sofferenza. La rimozione del dolore e della morte sono resi evidenti dall’imbarazzo nell’impiego di termini adeguati e da un conseguente slittamento semantico, così che, ad esempio, nei nostri giorni l’infinito “morire” perde modi e tempi a favore dell’impersonale “si muore”.

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