L'omelia del vescovo Claudio alla messa pontificale

Festa di sant’Antonio 2025

Venerdì 13 giugno 2025, basilica di Sant'Antonio

In occasione della Festa di sant’Antonio (13 giugno 2025), patrono della città di Padova, il vescovo Claudio ha presieduto la solenne messa pontificale alle ore 11.30 in basilica di Sant’Antonio. Durante l’omelia il vescovo si è soffermato sul tema del pellegrinare alla tomba del Santo assimilato questo movimento a una salmodia silenziosa di un popolo che «non si vergogna di dirsi fiducioso in Dio» e non teme di mostrare le proprie fragilità.

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Di seguito il testo integrale dell’omelia.

È un salmo di implorazione, una richiesta di aiuto e di soccorso questo continuo pellegrinare di tanti uomini e donne alla tomba del Santo. 

Un salmo composto da lenti passi, da lacrime, da sentimenti ed emozioni. 

Un salmo che porta con sé soprattutto affetti e legami oggi particolarmente fragili e minacciati.

È un popolo che salmeggia silenzioso a nome di tutti i popoli della terra, tanti dei quali sono rappresentati in questo incedere verso la tomba del santo. 

Manifesto un sentimento nascosto: siamo contenti di sentirci anche solo una semplice nota di questo salmo e di sentirci parte di un popolo che non si vergogna di dirsi fiducioso in Dio.

Nell’orgoglio della naturale sufficienza si apre anche per noi, come attimo di umanità, uno spazio in cui essere veri: siamo deboli e fragili, siamo creature bisognose di sentirsi amate.

Possiamo condividere questa condizione insieme ad altri uomini e donne che si riconoscono deboli e fragili come noi. Non siamo soli e non ci vergogniamo di ricorrere umilmente a sant’Antonio per chiedere la sua intercessione.

La gioia e la serenità che assaporiamo dicono che in questo stato di oranti siamo veri ed autentici e ci troviamo bene dentro questo movimento di popolo pellegrinante ed orante. 

Non solo percepiamo come vera la nostra invocazione in forza del sostegno di chi ci è attorno, ma percepiamo che tutti i nostri fratelli e sorelle attraverso la preghiera danno testimonianza che le nostre orazioni ed implorazioni nascondono e tengono vivi profondi sentimenti di speranza. 

Si incrociano, si fondono e si rafforzano contemporaneamente le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. L’una richiama l’altra, l’una è necessaria all’altra, l’una è verifica dell’autenticità dell’altra. Tutte tre sono dono di Dio. 

Constatiamo allora ancora una volta che la condizione di sofferenza e di dolore che ci ha posti in pellegrinaggio – pellegrini di Speranza dice il Giubileo – ci permette di vedere ciò che solo Dio può rivelare, ci arricchisce di una forza e di un’energia nell’affrontare la vita che solo Dio può concederci. Il nostro pellegrinare è domanda di un miracolo che non allontana da noi stessi il dovere di fare tutto il possibile, ma domanda a Dio la forza della vita, la voglia e il coraggio di vivere, di impegnarci, di lottare.  

Proviamo a rileggere i popolari “sequeri” alla luce di questo pensiero: ci troveremo accanto al Signore Gesù per intercessione di sant’Antonio come operatori di bene ed atleti contro tutto ciò che è male: 

Se cerchi miracoli, ecco messi in fuga morte, errore, calamità
spiriti infami e lebbra, ecco gli ammalati ergersi sani.

(Se cerchi miracoli,) si distendono il mare e le catene, i giovani e i vecchi chiedono e ritrovano la salute e le cose perdute.

(Se cerchi miracoli,) svaniscono i pericoli, termina persino la miseria, lo attestino coloro che lo sperimentano, lo dicano i Padovani!

“Lo dicano i Padovani”: il miracolo è dunque vedere con gli occhi di Dio, amare con il cuore di cui ci ha parlato sant’Antonio, quello di Dio, parlare con le parole di Dio. Se cerchi miracoli, si quaeris miracula…  

Per questo motivo la nostra spiritualità non è separazione dall’umanità. 

La nostra fede dona speranza e sprona la carità: accogliamo sulle nostre spalle, come giogo soave e mandato evangelico, le grandi sofferenze delle nostre famiglie e dei nostri amici, dei compagni di cammino, ma anche le grandi, immani ed inaccettabili sofferenze sparse in tutto il mondo. Non stanchiamoci di guardare avanti e di contribuire per costruire il nostro futuro, per rendere il mondo più bello di come lo abbiamo trovato. 

Per questo ogni guerra, anche quelle di oggi, ogni condizione di povertà, ogni ingiustizia, ogni privazione di libertà contraddicono quanto il nostro salmo canta: «lo attestino coloro che lo sperimentano, lo dicano i Padovani!».

Pellegriniamo a partire dalle nostre sofferenze e scopriamo che “stiamo ponendo le basi per rapporti più umani, concorriamo ad edificare per il domani orizzonti di convivenza possibili”, cammini di umanizzazione e di fratellanza, scambiandoci segni di pace nelle relazioni tra persone, ispirando desideri di pace in Terra Santa come in Ucraina e in tutto il resto del mondo, promuovendo percorsi di giustizia nelle nostre società e negli equilibri politici mondiali.  

Perciò ancora ci sentiamo mandati nel mondo. Non siamo qui per caso ma per accogliere personalmente una parola che ci dia coraggio e forza. È la parola conclusiva del Vangelo che vorrei lasciare a ciascuno: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”.

Antonio ci ha preceduti nel cammino, cammina davanti a noi testimone di Vangelo e di speranza. 

+ Claudio Cipolla

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