Cristiani e crisi economica

  
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CRISTIANI E CRISI ECONOMICA
Rinnovarsi nello spirito e nei modelli di vita


In questi ultimi mesi ho cercato di discernere, con l’aiuto dei miei collaboratori, la situazione in cui ci siamo venuti a trovare sotto l’aspetto economico-finanziario. Ho ascoltato con attenzione persone e gruppi; in particolare ho raccolto le sollecitazioni del Consiglio pastorale diocesano e le indicazioni importanti nell’incontro del 20 dicembre u.s. con esponenti del mondo del lavoro. Dopo aver riflettuto, desidero rivolgervi un messaggio come contributo della Diocesi al bene comune.

1. La crisi economica e finanziaria che sta coinvolgendo il mondo intero ha preoccupanti ricadute sulla vita di molte persone, di famiglie intere, di molte realtà produttive del nostro territorio.
La comunità cristiana e ciascun credente non possono restare ad osservare, tanto meno a subire una situazione del genere: molti fratelli e sorelle stanno già sopportando situazioni pesanti di ristrettezza economica e di incertezza per il futuro.
Non spetta certamente a noi, come comunità cristiana, fare una analisi tecnica della crisi, delle cause e delle conseguenze di essa: non è questa la nostra competenza; altri soggetti lo stanno facendo e noi seguiamo con attenzione quanto viene detto e quanto accade, sia nel nostro territorio, sia nella globalità del mondo. A noi credenti spetta una “lettura sapienziale” che nasce dall’ascolto della Parola di Dio e dalla situazione storica, con la guida della Dottrina Sociale della Chiesa; una parola frutto di discernimento comunitario in grado di accompagnare e di sostenere le persone e le famiglie in questo passaggio difficile e di guardare al futuro con speranza.

2. La crisi in atto mette in discussione, prima di tutto, il nostro stile di vita personale, familiare, ecclesiale e sociale. Come Chiesa ci sentiamo interpellati a educare e a testimoniare nuovi stili di vita che nascono da atteggiamenti e da comportamenti nuovi, partendo da una purificazione interiore dei nostri desideri, dei nostri obiettivi di vita, dei nostri sentimenti nei confronti del denaro, del guadagno, delle ricchezze utili o necessarie per vivere. Se lo spirito è mosso, ad esempio, dalla cupidigia del denaro, dal desiderio di esibire uno status symbol narcisistico o da tendenze edonistiche, inevitabilmente nasceranno atteggiamenti sbagliati e scelte di vita dannose sia per la persona come anche per la società: consumo sfrenato, indebitamento e credito al consumo, poca propensione al risparmio, ricerca di profitti immediati e di rendite elevate, scarsa volontà di guadagnare il pane necessario col lavoro, poca attenzione all’ambiente. In questo ci sentiamo tutti chiamati alla conversione. Siamo provocati a passare da un consumismo superficiale e da sprechi a consumi scelti con criteri di sobrietà e rispondenti ad esigenze reali. Del resto, l’esperienza di questi anni ha mostrato che la ricerca di un benessere concepito materialisticamente ha lasciato un vuoto spirituale e ha provocato anche vistosi fenomeni di malessere psicologico e spirituale. La conversione a modelli e stili di vita nuovi non ci porta al peggio, ma al meglio, se guardiamo alla interezza delle esigenze della persona e delle relazioni comunitarie. Occorre dunque puntare sui beni relazionali (la famiglia, l’amicizia, il volontariato…) e su autentici valori spirituali, sul primato della relazione con Dio, sulla solidarietà.
Le comunità cristiane siano in questo veramente portatrici di un messaggio forte di cambiamento spirituale ed operativo, con attenzione particolare anche alle proprie spese di costruzione, ristrutturazione e allo stile con cui vengono organizzati eventi (sagre, feste…). Tale messaggio si trasformerà in speranza anche per coloro che si trovano in particolare difficoltà.


3. La crisi mette poi in evidenza la necessità di adottare criteri etici in ambito lavorativo, economico e finanziario a tutti i livelli. È vero che questo aspetto è “lontano” dalle nostre possibilità di intervento; compete ad altri. Tuttavia non è privo di significato e di conseguenze il fatto di capire, di conoscere, di valutare atteggiamenti, scelte politiche e impostazioni dalle quali dipende l’andamento della società, dei popoli, delle famiglie e delle persone. Non si tratta mai infatti di criteri e di scelte neutre, né tantomeno di scelte tecnicamente obbligate o ineludibili. L’economia, la finanza, la produzione, come anche lo sviluppo e la fame delle popolazioni sono frutto di scelte compiute da persone concrete, in base a criteri valutativi e operativi ben conosciuti nelle loro conseguenze. Nulla è dovuto al caso, tantomeno alla fatalità. Esiste invece una responsabilità morale – tale cioè da fare appello alla coscienza personale e collettiva – che sceglie il bene o il male, il bene comune oppure il bene di qualcuno a fronte del danno per altri. È la questione dell’etica, che non costituisce un elemento estraneo alla scienza dell’economia e della finanza, come anche della politica; né un elemento facoltativo, quasi possa essere lasciato come opzione di qualcuno. L’etica è essenziale perché ogni scelta, anche in ambito economico, lavorativo e politico possa risultare “giusta”. E una scelta è giusta quando tende a “rendere a ciascuno il suo”, cioè quanto spetta ad ogni persona o gruppo come diritto innato. Così si deve dire che una scelta, o un criterio non sono giusti quando creano privilegi da una parte e penalizzazioni dall’altra; quando tendono a favorire qualcuno ma creano danno ad altri; accumulo di risorse da una parte e predazione di risorse dall’altra.
Il problema si pone a partire dal livello mondiale, perché la giustizia sociale viene prima e condiziona le scelte particolari. Oggi, in epoca di globalizzazione appare chiaro che scelte fatte a livello mondiale condizionano in modo decisivo il benessere o la pauperizzazione di gran parte dell’umanità in tutti i continenti e in tutti gli stati.

4. Il dissesto finanziario, venuto improvvisamente alla luce, è frutto di un’impostazione della vita economica fondata su apparenze fatte passare per vere ricchezze. Emergono le contraddizioni di tipo etico: la separazione della finanza dall’economia reale e dal lavoro, la mancanza di trasparenza, la ricerca sfrenata di profitto immediato, la concorrenza senza esclusione di colpi, la spinta all’indebitamento e al consumo di risorse che ancora non sono disponibili (spesso operata proprio da quegli operatori finanziari che non potevano non essere consapevoli del rischio al quale sottoponevano gli ignari clienti), l’assenza di responsabilità rispetto ad azioni compiute con un semplice clic sul computer capaci di compromettere lo sviluppo di intere popolazioni. È dunque evidente che l’uscita dalla crisi passa attraverso l’assunzione di responsabilità morali e giuridiche di ciascun operatore finanziario ed economico in vista di un agire improntato a criteri etici di giustizia, di solidarietà e di trasparenza. Sarà altresì importante che le menti migliori, anche nel nostro territorio, si sforzino di ristrutturare il sistema economico e finanziario in modo più giusto ed equo, perché non avvenga che i ricchi (persone e paesi) diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. A questo proposito la Dottrina Sociale della Chiesa indica come criterio etico “la destinazione universale dei beni”, cioè la necessità di assumere l’obiettivo di garantire a tutti gli uomini la fruizione dei beni necessari per vivere e per vivere dignitosamente. Non è pertanto accettabile aspettare, semplicemente, che la crisi passi, perché tutto ritorni come prima; e neppure possiamo rassegnarci al fatto di aver costruito un sistema basato sull’uomo consumatore piuttosto che sull’essere umano, con la sua dignità di lavoratore e di cittadino. Siamo altresì convinti che un ruolo grande in questa fase l’abbiano le persone responsabili della cosa pubblica. A loro spetta oggi il compito di riscrivere le regole e, prima ancora, di affermare con convinzione che esse sono necessarie nell’economia. Governanti e amministratori pubblici oggi sono chiamati a venire incontro ai soggetti più a rischio: solo partendo dalla volontà di risolvere i problemi dei “soggetti poveri” è possibile trovare la strada giusta ed efficace per superare la crisi attuale. Da parte sua la Chiesa di Padova vuole offrire il proprio sostegno, in questa gravosa responsabilità, ai politici locali, indipendentemente dalla loro connotazione politica.

5. Guardando alle situazioni concrete nasce un interrogativo e un appello: non vorremmo che a pagare le conseguenze più pesanti della crisi fossero principalmente le persone e le famiglie che vivono del solo lavoro e che sono ben lontane dalle responsabilità che stanno all’origine della crisi. Sarebbe ingiusto! È importante elevare la voce in difesa dei soggetti più deboli della compagine sociale. Ci permettiamo per questo di fare appello alle migliori energie e motivazioni presenti in ciascuno, affinché la solidarietà in ogni ambito diventi il principio guida con il quale affrontare anche i momenti più difficili, perché nessuno veda compromesso il proprio futuro e la propria vita. Sappiamo che alcune categorie sono particolarmente a rischio: giovani precari, donne, immigrati, lavoratori over 45. Sarebbe immorale che, per mantenere elevati margini di profitto, si sacrificasse l’occupazione anche di un solo lavoratore, con facili e apparentemente giustificati licenziamenti. Il criterio del bene comune (bene di tutti gli uomini) deve spingere tutti a tentare ogni strada pur di salvaguardare anche solo una persona.

6. La crisi diviene in questo momento anche un appello stringente all’azione: siamo tutti chiamati a stringere alleanze e sinergie per il soccorso alle emergenze di chi è più in difficoltà. In questo senso la Chiesa di Padova è disponibile a collaborare e a contribuire. L’azione principale è quella svolta, non da oggi, dalle comunità parrocchiali. Ognuna di esse è un presidio sul territorio, che volentieri mette a disposizione persone, strutture, risorse, conoscenze della situazione locale, idee e anche quello spirito di solidarietà che discende dallo stesso Vangelo. Come comunità cristiana ci siamo dati anche una sorta di vademecum, per aiutarci a far circolare idee, stili, buone pratiche. Inoltre a sostegno delle situazioni più difficili la Chiesa diocesana vuole offrire, come hanno fatto altre diocesi in questo periodo, un piccolo segno di solidarietà, costituendo un fondo temporaneo, della cifra iniziale di 300.000 euro (che va ad affiancarsi ad altri contributi generosamente messi a disposizione da istituzioni pubbliche e private, alla cogestione dei quali la Caritas diocesana è stata chiamata). Anche la colletta del Giovedì Santo prossimo, raccolta tra i presbiteri della Diocesi e i fedeli riuniti in Cattedrale per la Messa Crismale, confluirà nel fondo diocesano. A tal proposito rivolgo anche un invito a tutte le comunità cristiane, affinché promuovano, proprio il Giovedì Santo, una colletta straordinaria a favore di tale fondo. Nell’Eucaristia infatti i cristiani si radunano a spezzare il pane e a condividere la preghiera e anche i propri beni. Proprio dall’Eucaristia, dal dono che Gesù fa di sé, nasce il dono per i fratelli più in difficoltà, così come fin dall’inizio avveniva nelle prime comunità cristiane (cfr. Atti 2, 42-46).

Invito le comunità cristiane a intensificare la preghiera per quanti soffrono e implorare dal Signore il superamento della crisi attuale con il nostro fattivo impegno.
Invito i presbiteri a celebrare la santa messa in qualche occasione “per il lavoro” come è proposto nel messale. Con il più fervido e cordiale augurio di “pace e bene” a tutti.


Antonio Vescovo

Padova, 22 marzo 2009,
Quarta domenica di Quaresima
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