SOLENNITÀ DI SAN PROSDOCIMO – 2019

07-11-2019

SOLENNITÀ DI SAN PROSDOCIMO

7 novembre 2019, Basilica di Santa Giustina, Padova

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Omelia

Sono molto contento perché siamo presenti in tanti questa sera: c’è il vescovo, ci sono numerosi presbiteri, poi ci sono i diaconi, che trentadue anni fa, come questa sera, hanno iniziato il loro servizio in diocesi. Trentadue anni fa, infatti, è stato istituito il diaconato permanente per opera del vescovo Filippo e quindi per loro è un anniversario significativo. Poi ci sono uomini e donne di vita consacrata, ci siete voi, cristiani, e i sindaci dei comuni che ho visitato lo scorso anno in occasione della visita pastorale. Vorrei dire, caro san Prosdocimo, che questa sera siamo in tanti e non so come faranno i padri benedettini ad accompagnarci al sacello dove c’è il luogo della nostra venerazione del tuo corpo, perché abbiamo invaso la chiesa di Santa Giustina. Questo essere così numerosi rallegra il nostro cuore, anche perché proveniamo da tutta la nostra Diocesi: dall’Altopiano fino a Vigonovo e alle zone più a sud della Diocesi di Padova.

Ciò che stiamo vivendo è una festa che ha il sapore dell’”incontro”, del ritrovo di tante persone diverse. Nasce dalla tradizione della nostra Chiesa diocesana e si ricollega, tramite san Prosdocimo, ai primi secoli del cristianesimo.

Quando sono andato nelle varie parrocchie, i cui parroci sono qui presenti, ho chiesto a tutti di rinnovare solennemente la propria professione di fede. Ho usato sempre la formula battesimale, che useremo anche questa sera, perché, quando si dice «Questa è la nostra fede, questa è la fede della nostra Chiesa qui convocata», siamo rimandati al momento iniziale della nostra fede di cristiani che è la stessa fede dei cristiani degli altri secoli, da san Prosdocimo a oggi. Ed è anche la fede di tutte le altre comunità parrocchiali, oltre a essere quella di tutte le Chiese del mondo. Per questo motivo, è un rito che ci ricollega a un’esperienza molto lontana nel tempo e molto ampia nello spazio.

Questa festa ha il sapore dell’“incontro” anche per un altro motivo, perché ha il tono della restituzione. Io sono venuto a far visita alle vostre comunità, a quelle ecclesiali e a quelle civili, in una forma molto familiare che per me è stata significativa e mi ha permesso di sentirmi sempre a mio agio. Questa sera sembra che siate venuti voi a trovare me, tra l’altro proprio in questa basilica dove ci sono le spoglie di san Prosdocimo e di santa Giustina che sono i grandi riferimenti della storia della nostra Diocesi.

Quindi, grazie! Mi piacerebbe farvi vedere tante cose, come voi avete fatto con me; raccontarvi la storia che è racchiusa in questa chiesa come anche in tanti altri luoghi simbolici per la nostra vita cristiana: dalla Cattedrale al Seminario, dalle Cucine popolari a quello che la nostra Chiesa, insieme, è riuscita a realizzare e a offrire al territorio. In questo senso la considero una gradita restituzione di cui ringrazio tutte le vostre comunità.

Prima non ho citato la presenza dei ragazzi di Stanghella che fanno la cresima; lo faccio ora, perché loro rappresentano la prospettiva della generazione che seguirà i nostri passi. Noi però dobbiamo camminare davanti a loro, perché loro ci seguiranno se vedranno che ci siamo anche noi. E se qualche volta dovessero fermarsi, col nostro aiuto riprenderanno il loro cammino.

Sono qui presenti anche gli insegnanti di religione. Il loro servizio non è facile perché provato dal confronto col mondo giovanile, che li pone continuamente in discussione ma anche in cammino: desideriamo incoraggiarli e sostenere l’impegno che svolgono, incaricati dalla Chiesa, nel campo della formazione culturale.

Il nostro incontrarci oggi è segno di una volontà e di un desiderio di stabilire un legame più profondo tra le parrocchie e la Diocesi, dove c’è il vescovo, dove c’è una storia, una comunione e una unità che tutti dobbiamo imparare a valorizzare.

È segno di vicinanza, di prossimità tra le nostre comunità ecclesiali e il territorio di cui facciamo parte e che noi abitiamo come tutti gli altri e del quale ci dobbiamo assumere le responsabilità che ci competono. Ecco perché sono contento e mi sembra che sia un’esperienza molto significativa che onora la nostra Chiesa.

San Prosdocimo, le nostre terre, la gente che vive in queste terre, i giovani e il loro futuro ci stanno molto a cuore e, in tutti i contesti in cui parliamo, mi accorgo che questi sono gli argomenti che, come adulti, coinvolgono tutti. Tutte queste realtà trovano un riferimento nel mio stemma, nel quale ho fatto raffigurare un’anfora per richiamare l’attività di Prosdocimo quale evangelizzatore delle terre venete e come colui che per primo ha battezzato queste popolazioni.

Siamo consapevoli delle grandi trasformazioni di pensiero nelle quali il nostro mondo vive. Se guardiamo ai nostri figli, alle nostre famiglie giovani, ogni tanto ci sorgono delle preoccupazioni. Per questo è importante fermarci e riprendere quell’attività, che era propria di san Prosdocimo, che era di parlare di Gesù e del suo vangelo. Dobbiamo imparare a liberarci dal nostro mutismo, che spesso è frutto della nostra sordità nei confronti del Vangelo, per imparare a comunicare quello che di Gesù abbiamo nel cuore. Parlare del Vangelo, evangelizzare, non vuol dire raccontare una storia o dare delle informazioni su Gesù, ma trasmettere chi è Gesù per me, qual è il mio legame con lui.

Oggi dobbiamo riprendere il nostro cammino proprio a partire dall’inizio, non possiamo più dare per scontato che le persone che si incontrano siano credenti, abbiano una relazione profonda, vera con il Signore Gesù vivente. Oggi, per tanti, Gesù è un riferimento, morale o spirituale, che può essere sostituito con qualcos’altro. Ma per un cristiano Gesù è l’unico. È lui solo il nostro unico riferimento su cui contare. È Lui il risorto.

Pertanto, riferirsi a san Prosdocimo, e a quell’anfora che c’è sul mio stemma, è come riprendere a parlare del Signore Gesù, perché è lui il vivente, è lui che vive e che noi custodiamo nelle nostre comunità ed è colui che le renderà capaci di servire il territorio, di servire la nostra umanità e di essere uomini e donne degni di Dio.

Ora vi chiederò di rinnovare la vostra professione di fede, ognuno come credente.

Quando introduco questo momento in occasione della cresima, chiedo ai ragazzi chi di loro può dare la sua parola. Mio nonno mi raccontava che ai suoi tempi gli affari si formalizzavano con una stretta di mano, cioè sulla parola. Noi, oggi, abbiamo perso l’importanza del “dare la parola”.

Quando nel rito si chiede «Rinunci?» e noi rispondiamo: «Rinuncio», pronunciamo una parola a cui spesso non è associato alcun contenuto.

Questa sera, in questa occasione così straordinaria, vorrei invitarvi a dire con convinzione “Rinuncio” e “Credo” non perché siamo bravi, perché tutti noi siamo consapevoli delle nostre debolezze, ma perché abbiamo nel cuore questo desiderio o, almeno, questa occasione ci solleciti a rinnovare in noi il desiderio di conoscere e amare Gesù per avere il coraggio di parlare di lui.

Saremo cinquecento, seicento, ma tutti siamo chiamati a essere missionari, non solo fruitori, inviati a parlare del Vangelo, come ha fatto san Prosdocimo e come hanno fatto tanti cristiani lungo i secoli.

Ora tocca a noi.

+ Claudio Cipolla, vescovo di Padova

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