Ordinazioni diaconali – 2019

26-10-2019

ORDINAZIONI DIACONALI

26 ottobre 2019, Basilica Cattedrale di Padova

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Omelia

Permettete che raccolga i sentimenti che vedo in me e che intuisco in voi, per trasformarli in preghiera, soprattutto quando si dirà: «Confidiamo Signore di offrirti questi tuoi figli per l’esercizio del sacro ministero nella Chiesa».

Accanto alla gioia che percepiamo in questi candidati al diaconato, gioia che sappiamo contagia, ci sono tante preoccupazioni sulle quali abbiamo invocato la Pace del Signore Risorto, quando all’inizio ho salutato tutti voi. Sono le preoccupazioni dei genitori, dei fratelli e sorelle, degli amici, dei formatori… ci sono anche le mie, di padre, di fratello! Sono le preoccupazioni umane, le nostre preoccupazioni.

È possibile oggi, con tutto quello che viviamo, “offrirsi al Signore”? È possibile accogliere la bella, generosa, fiduciosa disponibilità dei nostri figli? È questo il loro bene? Saranno felici e contenti?

Non vogliatemene se mi permetto queste domande che manifestano senz’altro poca fede. Ma come possono non esserci nel nostro cuore se ogni giorno siamo raggiunti da notizie di fatti locali, nazionali o internazionali che evidenziano fragilità, debolezze, scandali? Non sembra sufficiente ricordare che c’è anche tanto bene, tanta santità, tanta testimonianza… il nostro cuore esce devastato e indebolito da queste continue evidenziazioni; anche la nostra fede è messa alla prova.

Eppure dentro questo terreno, in questo terreno umano arido all’apparenza, il Signore ancora esce e semina.

«Eccomi» diranno i nostri otto giovani uomini; eccomi “per sempre”, detto oggi! Che coraggio! Che forza!

E poi: «Ti prometto filiale rispetto e obbedienza»; lo dicono alla Chiesa tramite il Vescovo e, per i frati Cappuccini e i frati minori, tramite i loro superiori.

Diranno anche, oggi, che si impegnano al celibato per dedicarsi totalmente a Cristo Signore e al servizio fraterno.

Queste sono parole che scendono in mezzo a noi, nella nostra vita e nelle nostre case, come semi che il seminatore sparge e che cadono sui nostri diversi terreni.

Però, quello che viviamo, prima di azione nostra, è opera di Dio, partecipiamo all’opera del Signore. Noi accettiamo la nostra povertà, riconosciamo la nostra debolezza e ne abbiamo paura.

Mi riconosco nella miniatura riprodotta nella copertina nel libretto, in quell’uomo prostrato a terra a supplicare pietà. Anche i diaconi tra poco si getteranno a terra come quell’uomo, come il pubblicano del Vangelo, e diranno: «O Dio abbi pietà di me peccatore!» (Lc 18,13). Il pubblicano, i diaconi prostrati a terra, sono un’immagine della Chiesa. Non stiamo di fronte a Dio perché ci pensiamo a posto o perché siamo bravi ma perché abbiamo bisogno della sua misericordia. Ad aiutarci nel rendere vera la preghiera sono anche le nostre disavventure, le umiliazioni, i peccati; ci aiutano anche le preoccupazioni umane, che riconosciamo come umane, e che vogliamo trasformare in preghiera.

Diremo: «Confidiamo di poterti offrire!» C’è un sentimento di rinuncia alle nostre pretese di capire, di discernere con sicurezza, un misto di umiltà e di coraggio che vive nel cuore della Chiesa. “Confidiamo”: c’è consapevolezza delle nostre preoccupazioni e di una preghiera di popolo in quel plurale.

È la preghiera che pronuncerò prima del silenzio dell’assemblea e della mia imposizione delle mani: cioè quando agisce Dio! Quando lui opera e crea, in quel silenzio che è da sempre e che gli appartiene, quando interviene nella evidente assenza del nostro contributo!

«La preghiera del povero attraversa le nubi, non si quieta e non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto» (Sir 35,21): così una Chiesa umiliata e umanamente preoccupata impara a pregare sinceramente e con insistenza, spostando la sua fiducia e la sua speranza da se stessa e dalle proprie opere, virtù e qualità a Dio stesso, a quello che di Lui ci hanno detto Gesù e i suoi primi discepoli. Anche san Francesco, san Leopoldo, e tutti i nostri santi orientano il nostro cuore ad avere fiducia nella vita, nella missione che ci viene affidata e in noi stessi perché Dio è all’opera.

È un percorso spirituale difficile quello di appoggiarsi pienamente sul Signore e sulla sua misericordia, ma ci aiuteremo reciprocamente, nelle nostre fraternità e comunità, tra le nostre Chiese, mettendo i nostri carismi a servizio di tutti. Ci sosterranno e incoraggeranno a stare col Signore anche quei poveri e quelle tante persone a cui ci doneremo nel nome di Gesù.

Vi aspetta, infatti, anche la povera gente. In particolare, è questo il servizio del diaconato, non solo adesso perché diventate diaconi, ma anche quando, se e per chi la Chiesa vorrà, sarete presbiteri. Diaconi lo resterete sempre, come me che appoggio la casula sulla Dalmatica diaconale.

Con la vostra vita andrete a dire ai poveri che il Signore li privilegia: perché in realtà il Signore non è vero che tratta tutti allo stesso modo, Lui fa evidentemente delle preferenze, privilegia quelli che hanno più bisogno: li ascolta, è vicino a chi ha il cuore spezzato, salva gli affranti, riscatta e libera i servi oppressi, proprio come dice Gesù nelle parabole e come testimonia la fede del Siracide e del salmista che ci hanno guidato nella preghiera.

Quando poi vi prostrerete, voi candidati al diaconato, ricordatevi del pubblicano del Vangelo; imitatene il cuore; invocate la sua pietà e la sua misericordia; ricorderete in questo modo ai vostri fratelli e sorelle, cioè a noi, la povertà e l’umiliazione con la quale siamo e dobbiamo stare sempre di fronte a Dio.

Noi invece resteremo in piedi, ritti, per annunciare a voi e raccontare che, oggi, giorno della Risurrezione, il Signore ci ha risollevati dalla nostra prostrazione e che ora noi apparteniamo alla vita nuova di chi è rinato nel battesimo. Lo stare in piedi è segno della nostra dignità di figli e delle grandi opere di Dio.

Così camminiamo insieme tenendo unite la consapevolezza della nostra povertà e umiliazione e la certezza dell’ascolto di Dio e della sua opera su di noi.

Non vogliamo essere una Chiesa di perfetti perché mai sarà possibile su questa terra: crescono insieme grano buono e zizzania; non spettano a noi sentenze e condanne, giudizi e punizioni. Noi siamo stati chiamati e abbiamo detto “eccomi!” per annunciare la misericordia e il perdono, con forza, in obbedienza a Dio, con tutto noi stessi, per sempre, anche quando, per il bene maggiore, dobbiamo prendere posizioni severe e faticose.

Questa celebrazione diventa allora un grande atto di fede della Chiesa nella misericordia di Dio; e così tutti uniti, confidiamo di poter offrire al Signore per il suo servizio questi suoi figli.

+ Claudio Cipolla, vescovo di Padova

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