Nella gioia del battesimo, «cristiano diventa ciò che sei»!

La riflessione del vescovo Claudio all'Assemblea diocesana - sabato 5 ottobre 2019 – (il video e le foto)

I testi che abbiamo letto riportano la nostra attenzione al sacramento “sorgente” della nostra esperienza di cristiani: il sacramento del battesimo. Ringrazio il Signore per averci posto sulla strada di questa riflessione perché ci permette di ritornare al Concilio ecumenico Vaticano II e di tornare ancora più indietro, verso le cose antiche che ci collegano con la testimonianza dei primi cristiani e dei Padri della Chiesa. Questo sguardo è stato acceso anche dal ripristino del catecumenato degli adulti. Dalla conclusione dell’evento conciliare sono state prodotte riflessioni teologiche e spirituali che hanno permesso di appropriarci meglio di quanto i padri conciliari, mossi dallo Spirito, ci hanno consegnato. Riflessioni teologiche, ma anche cambiamenti e modifiche nella prassi liturgica, nell’impegno di annuncio e di formazione, nella comprensione e nella testimonianza della carità. Le nostre comunità si sono sviluppate con accelerazioni e rallentamenti, profezie e regressioni: d’altra parte un popolo cammina così con qualche incertezza, con qualche rallentamento, con qualche fuga in avanti. Sembra opportuno quindi domandarci dove stiamo andando: i cambiamenti di questi decenni, infatti, sono stati tanti, tantissimi; e tra noi qualcuno può sentirsi perso e disorientato.

L’attenzione al battesimo è stata una delle grandi riscoperte promosse dal Concilio frutto di studi patristici, e liturgici. La sua importanza è riconosciuta da tutti noi, anche da tante altre Chiese cristiane: è un punto comune per ripartire insieme, una specie di minimo comun denominatore. Da tutti il battesimo è riconosciuto come grembo che ci genera alla fede pasquale della Chiesa. Ripartiamo da lì, dal battesimo! Sostiamo presso il nostro fonte battesimale e guardiamo attorno per domandarci chi siamo, dove andiamo, chi ci accompagna nel cammino.

Se volessimo dare uno sguardo retrospettivo dobbiamo constatare che la strada fatta è stata tanta, tantissima… e non siamo arrivati.

Il Vescovo Filippo si era proposto di seminare il Concilio nelle nostre terre. La sua intuizione, un’intuizione fondamentale, importantissima, è stata quella di portare la Chiesa a compiere una scelta preferenziale per gli adulti: “Per una Chiesa di adulti” è stato il titolo di alcuni anni di impegno pastorale vissuto con il coinvolgimento dei Consigli pastorale e presbiterale di quel tempo. Una Chiesa di adulti è una Chiesa che ascolta e che annuncia (1984/85), è una Chiesa che celebra e prega, riferendosi soprattutto all’anno liturgico come itinerario del popolo di Dio e al Giorno del Signore (1985/86); una Chiesa di adulti è una Chiesa che cammina con gli uomini (1986/87) riferendosi alla testimonianza dei cristiani nella storia e nel mondo (dimensione che si è voluto ricordare anche dedicando a lui il centro studi promosso dalla Fondazione Lanza).

Un percorso altrettanto avvincente è quello compiuto dalla nostra Chiesa diocesana con il Vescovo Antonio. Con lui la Chiesa è stata invitata a guardare “oltre” gli orizzonti e a riscoprire la sua indole missionaria sia nel mondo della cultura sia nel campo più propriamente missionario ed ecumenico. Nel 1993 è stato pubblicato dalla nostra Diocesi, tramite l’Ufficio di Coordinamento pastorale, un testo molto corposo, programmatico della attività pastorale di quegli anni: “Il volto di una Chiesa sinodale”. La prima parte è stata collocata sotto il titolo “La comunità cristiana soggetto di pastorale”. Dunque non partiamo da zero, ma ereditando e continuando il cammino del recente passato.

Mediante l’impegno soprattutto dell’Azione cattolica, ma anche di altre associazioni, come pure di alcuni ambiti di vita pastorale diocesana sono stati coinvolti, promossi e formati, proprio in forza del riconoscimento della dignità del battesimo, molti laici e laiche, e sono stati guidati e coordinati i vari organismi di comunione e di partecipazione a livello parrocchiale, vicariale e diocesano. Ne ho visto il frutto in occasione della visita pastorale quando ho incontrato Consigli pastorali veramente di qualità, alcuni capaci di coprire le insufficienze e gli errori anche di noi presbiteri. Ho visto doni, carismi, spirito di sacrifico: tanto amore per la loro Chiesa!

Questo patrimonio spirituale e pastorale c’è: non possiamo disperderlo né possiamo ripartire senza quei doni.

Eppure tante cose nel “frattempo” sono cambiate. Ci troviamo nella stessa condizioni in cui vivono tante nostre proprietà parrocchiali o diocesane: seminario, curia, parrocchie, fondazioni. Abbiamo un grande patrimonio ma c’è bisogno di riordino, di ristrutturazione, di vendere qualcosa per sistemare qualcos’altro, di capire che cosa è importante e che cosa può essere dismesso. Non possiamo lamentarci perché il patrimonio c’è, ma dobbiamo ristrutturare e valorizzare. E dobbiamo anche vendere. Se non prendiamo iniziativa e aspettiamo che ritorni il passato, rischiamo di perdere o dilapidare tutto. Così anche nella pastorale.

In questo “frattempo” di 50 anni è cambiato il mondo e con un’accelerazione che penso non abbia avuto uguali nella storia: pensiamo al contesto geopolitico: Al muro di Berlino e alla sua caduta, all’ex Jugoslavia, all’Albania, al fenomeno migratorio, all’espansione commerciale della Cina e dell’India, alle fatiche dell’Unione europea non sempre avvertita come opportunità, alla crisi economica che crea paure e diffidenze.

Ma anche a livello antropologico e sociale l’accentuarsi di un sempre più crescente individualismo marcato anche dalle potenzialità delle bioscienze e delle tecnoscienze… forse un segno contrario è quello di Greta e di tanti altri giovani scesi in piazza da cui sembra emergere un’attenzione nuova che riguarda tutti, quella dell’ambiente a cui il Santo Padre ci aveva orientati con la Laudato Si’.

Pensiamo all’emergere in questi anni della cultura mediatica, all’informatica, alla globalizzazione.

Pensiamo all’avanzare di un progressivo impoverimento dei significati di simboli: dalle celebrazione dei matrimoni a quella delle esequie, dal Crocifisso al Natale, alla festa cristiana dei santi e dei morti sempre più sostituita da Halloween… sempre più simboli culturali senza significati di fede.

Pensiamo alla progressiva perdita di rilevanza pubblica e culturale delle nostre comunità cristiane e della nostra Chiesa.

Pensiamo alla riduzione del numero dei ministri ordinati e degli uomini e donne di vita consacrata.

È stato “un frattempo” molto dinamico. In questo mondo così modificato, e non necessariamente in peggio, come continuare la nostra missione di evangelizzatori? Come prendere consapevolezza di essere stati “battezzati e inviati” per usare lo slogan di questo Mese Straordinario della Missione?

Giovanni XXIII parlava del Concilio come di una nuova Pentecoste, e di primavera dello Spirito; Paolo VI parlava del Concilio come di un inizio. Come riscoprire quella freschezza?

Anche i nostri giovani, interpellati e ascoltati attraverso quella bella esperienza che abbiamo chiamato Sinodo dei giovani, ci hanno rivolto domande e provocazioni. Non è che li stiamo deludendo?

E allora eccoci qui stamattina, all’inizio di un anno pastorale, senza un vero e proprio piano pastorale e senza un mandato da eseguire nei vicariati e nelle parrocchie, ma con un’esperienza, quella del battesimo, che tutti abbiamo vissuto e dentro la quale, come vescovo per grazia di Dio e certamente non per miei meriti, vi chiedo di abitare durante questo anno. Per chi vuole abbiamo preparato qualche scheda, ma molto ci aspettiamo dalla creatività di ogni consiglio pastorale e di ogni responsabile di comunità. Abitate il vostro battesimo! Anche questo è comunque piano pastorale: abitate il battesimo!

Un concilio e il cammino di oltre 50 anni, un mondo cambiato e in continuo e accelerato cambiamento, e una Chiamata, una permanente vocazione da cui ci siamo sentiti raggiunti: annunciare oggi, in questo tempo di Grazia, il Vangelo dell’amore e della misericordia a tutti.

Come? Perché?

Ecco il nostro sguardo al battesimo, alla sorgente della nostra fede e della nostra missione, alla fonte di quella gioia che trova forza dall’annuncio della Pasqua di Gesù di cui siamo diventati partecipi tramite l’immersione nell’acqua e nello Spirito. È quel grembo che ci ha generati come popolo, che ci costituisce discepoli missionari, che ci conferisce la dignità di figli di Dio, fratelli e sorelle di Gesù Cristo e tra noi, servi di tutti soprattutto dei più poveri e lontani. È il momento che fa di noi una cosa sola con Gesù risorto e nella vecchia creazione siamo seminati come creature nuove, in un mondo mortale immortali. Come Gesù, intimamente uniti a lui nella morte e nella risurrezione.

Ci può aiutare l’Evangelii Gaudium (119-134), ma anche la nostra umile esperienza di cercatori, che sta caratterizzando anche tante altre Diocesi e persone.

Un suggerimento: il battesimo a cui io penso non è quello dei bambini. Ci porterebbe fuori strada porre troppa attenzione a quel dono che noi facciamo a chi non è ancora in grado di esprimersi e di scegliere. Ci porterebbe a infantilizzare la nostra proposta pastorale e a costruire comunità battezzate ma non evangelizzate e quindi non capaci di rendere ragione della loro speranza. Il battesimo dei bambini è un dono che la famiglia – e con essa le nostre comunità parrocchiali – fanno ai loro bambini perché vogliono loro bene e quindi li vogliono accanto a sé nelle cose belle in cui credono. Ma questo dono presuppone un minimo di apprezzamento, di accompagnamento da parte della famiglia e della comunità.

Anche nel campo della formazione alla fede molto è cambiato nella nostra società e l’attenzione ai bambini non può più essere il perno della nostra vita pastorale.

Vorrei proporvi invece di guardare al battesimo degli adulti, tra l’altro non separato dalla cresima e dall’eucaristia. Il cammino di preparazione di un adulto al battesimo ha la durata minima di due anni: due anni di ascolto, di fraternità, di formazione morale, di preghiera. Da quando sono qui ho introdotto nella vita divina – ho “unito intimamente a Gesù” – 100 persone adulte. Ci sono stati momenti commoventi e sempre ho sperato che le nostre comunità potessero ripartire guardando ai catecumeni e ai neofiti e lasciandosi trascinare dal loro entusiasmo! Mi chiedevo ogni volta: e adesso a quali comunità li affido? Dove potranno proseguire il loro percorso di discepoli e quindi di missionari?

Il senso della Quaresima è di far convergere le nostre attenzioni al mistero pasquale, quando la comunità genera un nuovo figlio e una nuova figlia alla Luce. Tanto che la Pasqua viene annunciata fin dal giorno della Epifania e a essa convergono e da essa dipendono tutte le altre feste cristiane. Quella del triduo pasquale è una celebrazione per “iniziati”, per adulti; contiene il cuore della fede perché dona vita nuova ai battezzati e rinnova la vita nello spirito dell’intera comunità dei cristiani. Bellissimo il gesto di segnarsi con l’acqua del battesimo dopo aver rinnovato la propria professione di fede.

Anche il completamento dell’Iniziazione cristiana per gli adulti deve attingere ispirazione non dalla prassi del battesimo dei bambini ma dal cammino dell’Iniziazione cristiana degli adulti; anche la riammissione alla vita delle comunità di chi per anni si è stato lontano, più o meno consapevolmente, trova contenuti e percorsi per gustare il Signore a partire dall’Iniziazione cristiana degli adulti (su questo stiamo cercando di dare qualche aiuto come Diocesi); anche il sacramento della riconciliazione (ben più importante di tanti gesti devozionali), il matrimonio e l’ordine sono figli della Pasqua, quanto celebriamo in quella notte come figli della luce, rigenerati alla vita divina del Signore Risorto.

«Questo significa, cari amici, che la nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione; dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et Spes, 1). Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina più niente (cfr. Mt 5,13-15).

Penso che la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi. Voi sapete bene che la vita si gioca con la capacità che abbiamo di “lievitare” lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 210). Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro, un incontro con Gesù Cristo. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati e non frutti di proselitismo. Essere cristiani è sapersi perdonati, sapersi invitati ad agire nello stesso modo in cui Dio ha agito con noi, dato che «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). (Dal discorso di Papa Francesco a Rabat).

Un adulto che viene battezzato viene immerso nella vita umana e divina di Gesù come un panno che viene immerso nell’acqua. Si risale dall’acqua del battesimo pieni di Gesù e del suo Spirito come un panno risale pieno di acqua. La vita è il tempo che permetterà di rilasciare quello che hai ricevuto (in qualche situazione la vita ci spreme, provoca la nostra capacità di rilasciare l’acqua…).

Diamoci allora appuntamento spiritualmente attorno al fonte battesimale, sostiamo presso questa sorgente, e ascoltiamone la voce: è la voce dello Spirito.

ci troveremo insieme, aspettandoci reciprocamente, per continuare il nostro viaggio come popolo e come assemblea di discepoli. I prossimi passi sono nelle mani del nostro pastore e della nostra unica guida il Signore Gesù.

Il 13 ottobre qui in Cattedrale ammetterò al catecumenato, che durerà due anni, 27 persone; il 1° marzo celebrerò il rito di elezione di 29 adulti che saranno battezzati nella notte di Pasqua. Alcuni di questi, come ogni anno, avrò io stesso la gioia di farli nascere nella luce del Signore risorto. Sarei contento se qualcuno di voi potesse essere presente a nome della propria comunità. Dai riti dell’Iniziazione cristiana degli adulti si capisce meglio che cosa intendeva Ireneo da Lione quando, nel secondo secolo, ai suoi cristiani diceva «Cristiano diventa ciò che sei!», nella gioia del battesimo.

+ Claudio Cipolla, vescovo

 

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