Omelia esequie mons. Claudio Bellinati – 2018

Padova, basilica Cattedrale
23-01-2018

 

ESEQUIE DI MONS. CLAUDIO BELLINATI

23 gennaio 2018 – Basilica Cattedrale, Padova

Omelia

Il capitolo III del vangelo di Marco, di cui abbiamo ascoltato qualche frase, dà un’immagine della giornata e della vita di Gesù piuttosto movimentata. La sensazione è che Gesù abbia ormai intrapreso la sua strada e che nessuno possa fermarlo: guarisce un paralitico, riscuote un successo inaudito presso le folle che lo seguono e lo cercano. Fa esorcismi, passa lunghi tempi in luoghi deserti a pregare: un fenomeno inarrestabile. Sta anche costruendosi un gruppo di seguaci, di compagni, perché stiano con lui e anche per mandarli in missione. Discute e provoca al punto che alcuni gruppi tramano per poterlo uccidere.

Forse i familiari possono fare qualcosa?

È interessante questo ruolo dei familiari: schiacciati tra l’opinione che solo loro possono fare qualcosa e la peculiarità, l’eccezionalità di Gesù, l’irresistibile energia e forza con cui sta muovendosi.

Quanto ha fatto parlare di sé, Gesù, in quei giorni!

Qualcuno diceva: «È fuori di sé», qualcun altro: «È posseduto dal demonio».

In questo contesto giungono i suoi.

Chiamati per fermarlo, per portarlo a casa, si muovono con delicatezza e non lo affrontano di fronte a tutta la folla, ma lo chiamano fuori, in disparte.

In questo contesto drammatico, con compostezza e solennità Gesù guarda quelli che gli stanno intorno, seduti attorno a lui come discepoli, incantati e trascinati dalla sua parola.

Li indica e li riconosce e proclama come la sua nuova famiglia: «Ecco mia madre e i miei fratelli». Si tratta di una famiglia nuova, composta di quelli che sono seduti attorno a lui.

Come noi, oggi.

Non attorno a don Claudio e al suo feretro, non per una cerimonia, non per la messa De Angelis, ma per Gesù: attorno a lui, come discepoli.

Noi oggi, siamo la famiglia di Gesù. Lo siamo tanto quanto siamo discepoli, seduti per ascoltarlo.

C’è anche la reliquia di don Claudio: infatti non riusciamo a guarire dalle ferite inferte dal morire, nemmeno quando la morte sopraggiunge a 96 anni e senza aver attraversato le umiliazioni delle malattie, della solitudine, degli isolamenti.

Non poteva esserci morte più accettabile di quella di don Claudio, ma lo stesso ci fa soffrire. E allora eccoci qui, da Gesù, con Gesù, come sua nuova famiglia. Lui solo ha parole di salvezza, di vita eterna e di consolazione.

La nostra, quella ecclesiale, è una famiglia che ha resistito nei lunghi secoli, due millenni, e che rende visibile nel presente, l’esperienza che ha vissuto con Gesù, quando è stata costituita e creata come gruppo di discepoli: è la stessa famiglia di quando Gesù era storicamente uno di noi. Anzi, rafforzata dal dono pasquale dello Spirito Santo che la rende viva più che mai e che la accompagna nella progressiva comprensione di tutte le cose.

Che cosa ci insegna in questo momento di grazia, oggi, Gesù al quale abbiamo portato il feretro di don Claudio?

«Chi fa la volontà del Padre mio è per me fratello, sorella e madre».

C’è una Provvidenza nei nostri incontri con la Parola. Di fronte a essa ci poniamo con fede, con fiducia, con desiderio di capire e quindi disponibili ogni volta a iniziare un percorso di ricerca personale e comunitaria. Fare la volontà del Padre è legame spirituale con Gesù e ci costituisce suoi familiari: fratelli e sorelle di Gesù, Madre di Gesù, suoi veri parenti secondo la vita nuova dello Spirito.

Guardando alla vita di don Claudio, ho cercato di cogliere che cosa ha significato per lui fare la volontà di Dio. Perché anche per noi questo è un passaggio fondamentale: anche noi vogliamo fare la volontà di Dio. Lo chiediamo nel Padre nostro, e ne assumiamo la forza nell’Eucaristia.

Noi, ormai emancipati culturalmente, di antica tradizione cristiana, figli di cultura e tradizioni cristiane, rischiamo di fare come la vecchia famiglia di Gesù quando è stata invitata a spegnere la sua carica di novità.

Ma il Signore Risorto è più forte e ancora ha parole capaci di contrastare la morte fisica di don Claudio e le nostre morti spirituali. Anche questa occasione è momento di grazia.

Il 19 febbraio 1922, o forse mesi prima, nel momento del suo concepimento, si è realizzata la prima testimonianza di obbedienza alla volontà di Dio: è stata accolta la vita di Claudio. Vivere è volontà di Dio; accogliere la vita quando si presenta, vedere la luce, far la fatica di crescere, di essere educati, di stare su questa terra per un po’ di tempo; accettare il proprio genere, le proprie caratteristiche fisiche e psichiche, le proprie doti e i propri limiti, accettare questo corpo: è fare la volontà di Dio.

«Ringrazio la Santissima Trinità per l’esistenza terrena»

«Un pensiero e un grazie ai miei cari genitori»

Queste espressioni, prese dal testamento, sono testimonianza del rapporto di don Claudio con la sua vita e quindi con la volontà di Dio. Sono affermazioni di un saggio, scritte verso il termine dei suoi tanti anni. Sono affermazioni scaturite dai lunghi giorni di obbedienza, sono frutto di esperienza spirituale.

La vita è stata accolta e vissuta come spazio in cui si realizza la volontà di Dio, luogo di grazia.

Di quanti uomini e donne possiamo prendere la mano come a fratelli e sorelle e madri già per il fatto che accolgono l’obbedienza della vita! E spesso in situazioni molto più problematiche delle nostre attuali.

Questa vita, accolta come dono di Dio, in una radicale obbedienza a Lui, ha assunto la caratteristica del nostro tempo e del nostro territorio. Come Gesù ha fatto la volontà del Padre e ha preso carne in un tempo, duemila anni fa, e in uno spazio, la Palestina, Nazareth, Gerusalemme, Cafarnao, così don Claudio ha ornato la sua esistenza di ventesimo secolo, di Padova, di insegnamento, di incontri con persone, soprattutto giovani, di ricerche e studi storici e artistici.

Qui si è espressa la sua creatività e la sua libertà, legandole a noi, consumandole e consumandosi per Padova e per la sua Chiesa, e perché il nostro tempo si arricchisse delle testimonianze dei tempi passati, dalle prime testimonianze cristiane a Padova, a Gregorio Barbarigo, da Giotto alle tante belle chiese del nostro territorio. Ha vissuto nella volontà di Dio perché si è consegnato a noi e alla nostra storia, si è dedicato con tutto se stesso alla nostra Chiesa e alla nostra terra. È stato nella volontà di Dio perché il Signore lo ha offerto a Padova e lui c’è stato, obbediente.

Don Claudio ringrazia la Trinità santissima per l’ordinazione sacerdotale e chiede di essere sepolto con il camice della sua prima messa solenne, presieduta l’8 luglio 1945. Parole che lasciano capire come don Claudio avesse ricompreso la sua vocazione al sacerdozio ministeriale dentro la volontà di Dio. Lo si capisce dal ‘Grazie’. E si capisce che questa disponibilità all’obbedienza ha dato senso e ricchezza alla sua vita.

Forse per questo ha voluto la Santa Messa degli Angeli, per dire la sua gioia di aver vissuto nella volontà di Dio.

Ecco, cari discepoli di Gesù, l’esempio di un uomo che, seduto ai piedi di Gesù, ha fatto la volontà di Dio. Ed ecco che Gesù vivente nel suo corpo lo riconosce come fratello, sorella e madre, cioè come suo familiare, secondo lo Spirito. Non c’è parola più bella e consolante per un discepolo di Gesù.

Don Claudio è stato un esempio voluto da Dio per noi, perché anche noi possiamo pregare di vivere nella volontà di Dio. Non sentimenti, parole, idee, ma una vita in Dio.

Così che anche noi possiamo dire:

Ora sono pronto a presentarmi al Signore, confidando nella sua infinita misericordia, per le mani di Maria Ss.ma, dicendo come san Gregorio Barbarigo: «In Te Domine speravi, non confundar in aeternum».

È l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio: un abbandono gioioso e sereno. Non è rinuncia alla vita, non è rassegnazione, ma il segno più alto delle sue capacità interiori, la realizzazione piena della sua umanità. Così grande come uomo, così vivo secondo lo Spirito che con gioia si abbandona nelle mani del Padre. Come Gesù.

+ Claudio, vescovo

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