Don Ferdinando Bodon riposa tra le braccia del Padre

Il funerale giovedì 4 novembre a Battaglia Terme, ore 10

Don Ferdinando Bodon (17 febbraio 1932 – 31ottobre 2021)

Don Ferdinando nasce a Battaglia Terme il 17 febbraio 1932. La famiglia era composta dal papà Olivo, appartenente ad una famiglia di “campanari” di Battaglia, dalla mamma Antonia Bellin, dai fratelli Domenico e Antonio.

Il 16 ottobre 1943 entra nel Seminario di Thiene, iniziando il percorso che poi lo porta al Seminario maggiore (1948) e all’ordinazione presbiterale, avvenuta il giorno 8 luglio 1956 con altri 21 compagni di strada e l’imposizione delle mani del Vescovo Girolamo Bortignon. Don Ferdinando annota:

«Il 15 luglio 1956, dopo oltre 250 anni, anche Battaglia ebbe il suo primo Sacerdote e sebbene fosse “politicamente rossa” fu un giorno indimenticabile».

Don Ferdinando viene subito nominato cooperatore a Bovolenta, fino a quando, nel 1964, passa con lo stesso incarico a Solesino. Nel gennaio 1970 iniziano le esperienze di parroco: prima a Dossi (attuale Comune di Borgo Veneto), poi a Fossaragna (Bovolenta, 1978-1991), alla fine a Vanzo (San Pietro Viminario) dal 1991 al 2001.

Nell’autunno del 2001 inizia l’incarico di Cappellano presso l’ospedale di Monselice, fimo a quando, nell’ottobre 2014, riceve la nomina di Assistente spirituale presso il Civitas Vitae Nazareth dell’Opera Immacolata Concezione di Padova. Qui la morte lo raggiunge nelle primissime ore di domenica 31 ottobre.

Don Ferdinando aveva preparato un breve profilo della sua vita «Nessuno la conosce meglio di me e del Buon Dio che mi ha creato»:

«Dovrei raccontare come furono questi anni. Una sola parola “Stupendi!”. Non potrei fare distinzioni perché mi sono sempre trovato bene e dappertutto. Forse un po’ di più a Solesino. (Ah, quella famosa “500”!).

Sento in coscienza di aver voluto bene a tutti e da tutti sono stato ricambiato. Ringrazio tutti e specialmente quelle persone che mi hanno assistito nella malattia.

Naturalmente il primo e il più grande ringraziamento è per il Signore per i tanti doni concessimi: penso che uno dei più belli, umanamente parlando,

sia stato il carattere aperto, gioioso, ottimista, allegro. Dono bellissimo anche per superare qualche contrarietà. Chi può dire di non averne mai avute? In questi pochi casi mi ha aiutato la grande passione per la musica, quella classica e i bei viaggi all’estero. Indimenticabile quello in India e l’incontro con S. Teresa di Calcutta. E come non ricordare quelle volte che con i miei piccoli giochi di prestigio andavo a rallegrare i bambini nel reparto Oncologico di Padova? Quanta gioia ho dato a quei piccoli Angeli.

Sono andato anche un po’ a lavorare e posso dire che anche lì ho fatto un po’ di bene. Alla fine della campagna, il padrone mi ringraziò perché mai così bene si erano comportati i lavoratori e specialmente le donne! Si finiva sempre con una suonatina di fisarmonica.

Altro momento di grande gioia: l’incontro con Papa Giovanni Paolo II al quale feci il famoso scherzetto della carta diventata moneta!

Dispiaceri? Almeno due di grossi. La morte di mia mamma e quella del fratello Domenico. Tuttavia nel cuore ero contento perché ero sicuro che li avrei trovati in Paradiso assieme a tutti coloro con i quali ci siamo voluti bene. Non mi sono mai preoccupato di aggiornarmi con i nuovi mezzi di comunicazione sociale, oggi quasi indispensabili … e pensare che negli anni ’60 ero all’avanguardia possedendo i primi registratori e perfino una “cinepresa”. A Solesino l’avevamo in due soltanto. In compenso ho portato a termine due chiese: a Dossi e a Fossaragna con gli aiuti spontanei e con le offerte dei parrocchiani. Come non ringraziare quel gruppo di ragazzi che ogni settimana andavano a raccogliere le uova che poi vendevo al miglior offerente? Insomma tutto sommato spero che il positivo sia stato migliore del negativo.

E devo confessare anche un peccato. Ho disubbidito ai Superiori che mi avevano chiesto di non fare più spettacoli… (ricordateli) e io, invece, ho continuato. Ma ho anche riparato ammettendo alla prima S. Comunione 5 o 6 (non ricordo di preciso) bambini figli di giostrai.

In cielo, dove spero di essere per la misericordia di Dio, chiedo con tutto il cuore che tutti coloro ai quali potessi aver dato, anche senza cattiveria, qualche dispiacere, di perdonarmi. È questa, infatti, la condizione per essere perdonati dal Signore: “rimetti a noi come…”.

E infine un ultimo pensiero sulla “morte”. Sì, perché ho l’impressione che questa parola “morte” sia diventata una parola “tabù”. Guai a pronunciarla! Anche noi preti diciamo: “È andato nella casa del Padre!” Oppure nelle epigrafi “è scomparso, è partito; si è spento” o parole simili… ci sarebbe quasi da ridere! Perché tanta paura per questo avvenimento? Ci crediamo o non ci crediamo che con la morte incomincia la vera vita? Lo sentiremo tra poco nel Prefazio, la preghiera che precede la Consacrazione: “La Vita non è tolta, ma trasformata”. Certo, ci vuole fede, abbiamo bisogno che la luce di Dio illumini la nostra mente.  Il cantautore Guccini, ha scritto: “Non sono religioso, quindi non ho risposte, ma so che mi devo fare le domande”. Che cosa avverrà di me dopo la morte?

In questo momento spero di potervela ricordare dal Paradiso, in cui per la bontà e misericordia di Dio spero di essere. Se ciò non fosse, invoco la vostra preghiera, augurandovi di ritrovarci tutti lassù dove non c’è più pianto, né dolore, ma soltanto gioia e gioia eterna. Un abbraccio affettuoso e un arrivederci in cielo, perché vi voglio tutti lassù. Con la speranza di esserci anch’io» (09.03.2021).

Di certo la vita di don Ferdinando è stata caratterizzata da una energia, un entusiasmo ed una passione pastorale invidiabili, che si traducevano in amicizie e frequentazioni continue (potevano essere compagni di ordinazione, persone comuni e famiglie, medici e imprenditori, cantanti e prestigiatori famosi, vescovi e cardinali); discorsi appassionati, allegria incontenibile e solarità, imprevedibilità e cordialità (recentemente aveva consigliato la lettura del libro di J. Martin, Anche Dio ride. Perché gioia, umorismo e riso sono al centro della vita spirituale). La voce potente, la camminata veloce, il coraggio indomito, la barzelletta e la battuta facili, i giochi di prestigio (l’abituale valigetta con gli attrezzi del mestiere): tutto diventava occasione per un bene sorridente e ilare, seminato ovunque e con chiunque.

Vi sono state partecipazioni televisive e numerose lettere di fuoco, vergate con sentimento e finezza di linguaggio, indirizzate a giornali, persone di scienza o di politica, per spingere al dibattito su questioni sensibili e perché non si venisse meno a princìpi saldi e sicuri. Vi è stata anche un’allergia evidente alle forme ecclesiali che riteneva povere di quella gioia che viene da Dio e dal Vangelo. Allo stesso tempo, però, “don Ferdy” sapeva non prendersi troppo sul serio e amava ridere di sé, dei suoi limiti, delle sue gaffe e delle sue imprese: poiché solo Dio e la Chiesa erano santi, tutto il resto poteva essere messo in discussione e deriso bonariamente. Per questo motivo lo si poté apprezzare come uomo di Dio semplice e povero, sano e buono, immediato e sereno, capace di simpatia naturale e di sguardi intensi, animato da intenzioni buone e dottrina sicura.

Era uomo di preghiera fedele, don Ferdinando: del resto, la gioia che comunicava a chiunque lo avvicinasse era frutto senz’altro di un temperamento felice, ma nasceva pure da una fede convinta che aveva ereditato dalla mamma.

Ultimamente pensava e si preparava spesso alla morte, incuriosito dal giudizio di Dio. Ha avuto la grazia di una malattia che, nonostante i segni inequivocabili del decorso, non gli ha impedito per diversi mesi di continuare a vivere, non lo ha sottratto agli appuntamenti, non lo ha trattenuto dall’abituale stile estroverso e non lo ha nemmeno indebolito se non negli ultimi tempi, quando comunque don Ferdinando ha potuto conservare momenti di grande lucidità e presenza, sostenuto con attenzione da persone amiche, dai familiari, da operatori e personale dell’OIC. Vedendo la sua situazione fisica precipitare, si è lasciato scappare una frase:

«Ho avuto una vita troppo bella, troppo ricca: Dio mi ha dato tanto. È giusto che sopporti quel male e quella croce che ogni uomo deve portare».

Ha anche avuto la gioia di concelebrare pubblicamente un’ultima volta a Boara Pisani domenica 17 ottobre e di ricevere dal Vescovo Claudio l’Unzione degli infermi nel pomeriggio del 18 ottobre, festa di S. Luca, quando – incontenibile nella soddisfazione – sembrava non voler disfarsi della vita ed essere comunque pronto a lasciarla.

Don Ferdinando è deceduto nel giorno di domenica, quando la Chiesa, «riunita nell’ascolto della parola e nella comunione dell’unico pane spezzato, fa memoria del Signore risorto nell’attesa della domenica senza tramonto». Nel pomeriggio di mercoledì 3 novembre la salma giungerà dall’OIC nella chiesa di Battaglia Terme, dove alle 17 e alle 21 vi sarà la preghiera del Rosario. Nella stessa chiesa parrocchiale le esequie saranno poi celebrate dal Vescovo Claudio giovedì 4 novembre, alle ore 10 e nel cimitero locale la salma sarà tumulata.

«Come sarà l’aldilà? Me lo immagino come un ambiente festoso e luminoso che ruota attorno al Signore, Buon Pastore, Risorto. Spero che Gesù aprendomi le braccia mi riconosca e mi chiami ancora una volta con affabilità, dicendomi: “Vieni, don Ferdy, amico mio! Ero triste e mi hai regalato una risata; ero afflitto e mi hai tirato su di morale. Entra nella gioia del tuo Signore!”».

«Certo, il Paradiso con don Ferdinando è ora più gioioso».

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