Giubileo dei Giovani
Venerdì 1° agosto 2025
Olgiata (Rm)
Omelia
Dal Vangelo secondo Matteo (13,54-58)
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
Un tempo pensavo che fosse difficile comprendere il Vangelo, oggi invece mi risulta difficilissimo comprendere la vita ed intuire le domande che la vita pone al Vangelo. Soprattutto scruto le domande che sono nel cuore di voi giovani. Quando abbiamo domande, domande vere, il Vangelo dischiude tutta la sua ricchezza e manifesta il tesoro prezioso che tiene nascosto. È quando la vita ci provoca, quando richiede impegni o risposte veramente da uomini che il Vangelo ci parla. Se non stiamo vivendo, o viviamo in modo superficiale, non riusciamo a far parlare il Vangelo. È difficile capire bene quali sono le domande vere che ci sono nel nostro cuore, come sta la nostra vita.
Anche il brano del Vangelo di oggi ci può aiutare molto nonostante non l’abbiamo scelto: si presenta come dono, una Provvidenza, una Grazia.
Non so come voi abbiate reagito a quello che stiamo vivendo in questi giorni.
Venite da una storia di famiglia, di gruppo, di fede che non può essere dimenticata.
Ieri, proposta in una forma molto bella e convincente, avete fatto la professione di fede. L’abbiamo fatta tutti insieme. Mi domando: mi sono riconosciuto in quella professione di fede? Che cosa ha comportato per me? Era mia o sono state soltanto parole?
Questa è una grande occasione per dirmi: anch’io devo mettermi di fronte al Signore, decidere e scegliere: credo o non credo?
La nostra Diocesi, dopo la GMG di Cracovia e il Sinodo dei giovani, ha proposto di lavorare, anche se forse non è stato ancora colto il significato della proposta, sulla “professione di fede” come obiettivo formativo dei nostri percorsi educativi.
Nel contesto culturale in cui noi ci troviamo, se non arriviamo a scegliere, ci perdiamo: inevitabilmente perdiamo la nostra gioia di aderire al Signore Gesù e alla sua Chiesa.
Avete visto i ragazzi che sono venuti dalla Polonia e dalla Francia alla Messa di inizio del nostro percorso giubilare. Vivono in contesti ormai desacralizzati o secolarizzati, molto più del nostro Paese. Per questo hanno maturato la necessità di esprimere anche con gesti esteriori la loro fede. I gesti, le parole, i riti non sono la fede, ma la custodiscono. Si accostano alla comunione in ginocchio, ad esempio, sono rispettosi della Eucaristia e della Chiesa che la custodisce. Il diacono non si è seduto prima che tutta l’Eucarestia fosse portata nel tabernacolo: una fermezza che mi ha impressionato. Mi sembra che ci abbiano preannunciato che anche noi saremo chiamati fare scelte e che anche noi ad un certo punto dovremo prendere la nostra decisione. Non sarà più automatico essere cristiano ed essere credente, anche se l’invito è rivolto dal Signore a tutti con molta abbondanza.
Ora voi avete l’età. Don Riccardo, direttore dell’Ufficio di pastorale giovanile della CEI, osservava che la nostra assemblea di giovani è formata da ragazzi grandi. Ho confermato la sua sensazione e gli ho confermato la mia soddisfazione e gioia: sono contento perché certe cose possono essere scelte solo se si è liberi di non scegliere. Nessuno di voi è costretto: se siete qui presenti è perché l’avete scelto, l’avete voluto. E ci sarà un motivo, un motivo vero.
Abbiamo già ascoltato tante bellissime riflessioni e testimonianze: cose bellissime!
Sono pure consapevole di non poter immaginare cosa è successo nel vostro cuore lungo il cammino: come l’avete vissuto? Che domande ha creato il camminare? E come avete reagito all’acqua che avete preso?
Mettersi in cammino è, infatti, una questione spirituale, non riguarda solo aspetti fisici, di allenamento per rafforzare la salute. Il cammino fa bene allo spirito dei camminanti: mette alla prova la nostra sicurezza e ci fa sentire precari, fragili, percepiamo il bisogno degli altri, di stare insieme. Il cammino conosce l’imprevisto, non soltanto quando è negativo, ma anche l’imprevisto bello, positivo. I tre giorni di cammino sono un contesto interiore che porta a galla domande profonde.
In questo contesto avrei piacere di parlarvi a tu per tu.
Vorrei chiedere a ciascuno di voi: tu come sei messo? Come credi in Dio? Non “noi”, tu!
Prima don Diego, ricordando il percorso spirituale che in questi giorni ci sta accompagnando, poneva questa provocazione: hai il coraggio di arrenderti a Dio? Arrendersi a Dio vuol dire credergli. È la situazione contraria di chi si arrende di fronte alla vita e non vuole più lottare per crescere nella sua umanità.
Diventa quindi importante scegliere per conquistare quell’affermazione e poter dire “Io credo”, di rendere ragione della vostra speranza.
Avete l’età, l’intelligenza, le conoscenze, avete la possibilità di leggere e studiare, di incontrare chiunque volete, avete padronanza delle lingue e risorse per viaggiare. Non possiamo restare così, fermi, dipendenti dalla fede di altri.
Perché? Perché ci perderemmo.
Da qui nasce la domanda: tu, dove sei adesso nei confronti del Signore? E poi un’altra: dove intendi andare? Dove ti porta il cammino interiore. Sto parlando ovviamente della nostra relazione con il Signore.
Nel Vangelo si diceva che Gesù per quanti venivano dalla sinagoga era motivo di scandalo.
Penso, e spero, che lo sia anche per voi.
Scandalo vuol dire che si inciampa, come su un sasso lungo la strada. Quando magari non si hanno scarpe adeguate, ci si fa proprio molto male. Questo è un momento con il quale stiamo inciampando nel Signore. Tutto quanto stiamo vivendo ci deve far pensare, come se fosse costruito di proposito, come se fosse voluto da Qualcuno. L’esperienza che stiamo vivendo e nella quale siamo immessi non è soltanto casualità, coincidenza: dentro queste giornate c’è una Grazia. Sono un momento straordinario di Grazia.
“La gente era stupita”, dice sempre il Vangelo.
Lo stupore di queste persone l’abbiamo visto anche noi ieri ascoltando la testimonianza e riflessione della mamma di Sammy Basso, l’omelia del cardinal Matteo Zuppi – molto bella –, ma anche ascoltando le riflessioni degli altri che sono intervenuti, accompagnati dai canti meditativi e provocanti. Immagino e spero che per molti di voi possa essere nata l’idea, l’impressione che ciò di cui parliamo sia una cosa seria.
La fede non è una questione per bambini, è una cosa seria, riguarda la vita, il senso della vita. Ecco, la gente si stupiva, rimaneva stupita di Gesù Cristo. Anche voi, penso.
Di fronte a quello che è emerso finora, come state reagendo? Facendo finta di niente? Aspettando che passi, perché tanto è un’emozione passeggera? Forse qualcuno tra voi si è arrabbiato nel sentire queste belle cose? Forse, avrà detto, sono sempre le stesse cose, troppo belle per riguardare me, noi! Sono parole, non sono fatti: solo parole!
Di fronte allo stupore si può reagire con domande simili a quelle della gente: “Non è costui il figlio del falegname?” E sua Madre non si chiama Maria?…”.
Gesù potrebbe essere un’idea o un’idealizzazione, un grande uomo rivoluzionario, e Dio una costruzione dell’uomo, un’illusione per esorcizzare paure. Possiamo innescare tante difese per addolcire e attenuare lo stupore e non lasciarci provocare: non dobbiamo farlo, non dobbiamo assolutamente farlo, perché vorrebbe dire perdere una grande opportunità, normalizzare, adattarci, non cogliere lo scandalo. Così succede con le informazioni: anche all’idea delle guerre ci stiamo abituando. Parlando con uno di voi si diceva che se non c’è un interesse tante cose, persone, situazioni non si vedono.
Gesù dice che a causa della loro incredulità non fece molti miracoli. Il rischio di attenuare quello che abbiamo sentito, di collocarlo in un contesto di arrabbiatura o di banalizzazione o di filosofia, è possibile tutto, impedisce a Gesù di fare molti miracoli.
Non è che per caso il Signore stia cercando di fare un miracolo, di farci suoi discepoli? E che noi, con queste difese alzate, non lo rendiamo possibile?
Qui, nello spazio umano della incredulità, colloco il momento di grazia che celebriamo oggi: il sacramento della Riconciliazione. Ritornare in pace con il Signore, ritornare a vivere insieme con Lui, cominciare a vivere insieme con Lui: questo è il cammino di oggi!
Il nostro peccato dovremmo cercarlo dentro questo spazio interiore, personale, intimo: che cosa sta bloccando il mio rapporto con il Signore? Che cosa mi impedisce di fare il passo e di dire: “Io credo”? E di ripensare alla vita a partire da questa fede in Gesù?
Che cosa ci ostacola e blocca? Se troviamo quello che ci separa dal Signore, ritroviamo il nostro peccato.
Celebrare il sacramento della Riconciliazione in questa occasione significa dire a noi stessi che vogliamo fare un passo verso di Lui e chiedere al Signore che faccia questo miracolo per noi, per me.
Un tempo spiegavo il sacramento della Penitenza dicendo che la confessione è un aiuto del Signore in quanto noi non ci perdoniamo certi peccati, non ne siamo capaci: solo il Signore può intervenire e convincerci che possiamo rialzarci.
Un’ultima cosa. Se noi siamo qua non possiamo confrontarci con chi non ha mai sentito parlare di Gesù, né penso che possiamo arrenderci alla nostra insicurezza, alla nostra debolezza: siamo chiamati! La resa è disobbedienza a Dio. Dobbiamo trovare la forza, il coraggio, la libertà, di poterci affidare alle sue braccia, di consegnarci al suo disegno, di arrenderci alla sua volontà.
Ieri sera, nella preghiera di compieta: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. È ciò che ha fatto Gesù: si è arreso a Dio, per noi.
Chiediamo al Signore di vivere con fede e speranza questo momento nel quale singolarmente, anche se non siamo pronti per una pubblica professione di fede personale, scegliamo di metterci in cammino, lungo la sua strada.
+ Claudio Cipolla
(testo pronunciato a braccio rivisto dall’autore)