Omelia per la Festa di Sant’Antonio – 2019

13-06-2019

FESTA DI SANT’ANTONIO

Giovedì 13 giugno 2019, Basilica di San’Antonio

Omelia

Tutte le volte che ci si incontra in questa celebrazione, tutti voi, insieme con me, se ci guardiamo intorno possiamo sentirci commossi nel vedere quanta fede il Signore ha donato soprattutto alla povera gente, a quelli che hanno problemi, che hanno sofferenze nel cuore e a chi porta con sé la sofferenza di altri, soprattutto dei figli, dei genitori, delle persone a cui si vuole bene. Vedere quanta fede viene testimoniata da ciascuno è veramente una cosa che tocca il cuore e penso tocchi il cuore anche del Signore.

Siamo nella settimana che segna il passaggio dalla solennità della Pasqua/Pentecoste a quella del tempo ordinario, tempo santo che ci rinvia al quotidiano, ai giorni affidati all’uomo e al suo ingegno, ai giorni connotati dalle fatiche e dalle consolazioni che tutti noi ben conosciamo.

Dopo la memoria di Maria, madre della Chiesa, alla quale ci affidiamo, oggi celebriamo la festa del nostro Santo. È lo Spirito del Signore che ci convoca per celebrare la festa di sant’Antonio: proveniamo da parrocchie della città e di tutto il territorio della diocesi; sono presenti anche presbiteri e diaconi: tra questi molti sono della Chiesa diocesana. È un segno chiaro del profondo legame che ci unisce al Santo. È una devozione antica, profonda. La Chiesa di Padova è la Chiesa di sant’Antonio. Non siamo separabili. Per questo ringraziamo la generosità dell’ospitalità dei frati.

Oggi, alcuni preti, si sono dati appuntamento in occasione dell’anniversario della loro ordinazione: il Signore li benedica e protegga e li renda strumenti di unità.

Immagino presenti anche cristiani di altre Chiese diocesane; anche a essi desidero dire: Pace, fratelli e sorelle, pace e bene per tutti voi che provenite da lontano!

Sono presenti anche persone di vita consacrata.

Ci sono autorità della nostra società civile alle quali è affidata la gestione ordinata della nostra convivenza sociale e la sostenibilità della strada del nostro progresso: per il loro servizio volentieri intercediamo presso il Signore.

Tutte queste presenze manifestano le nostre differenze: consacrati e laici, vicini e lontani, uomini e donne, ministri ordinati e operatori pastorali, bambini e anziani, cittadini e persone che provengono da fuori.

Entrando in questa Chiesa, in occasione di questa secolare ricorrenza che ha dato identità a Padova, veniamo come presi per mano e portati a fare esperienza di unità, di unità nella pluralità. Tanto che viviamo le nostre differenze come ricchezze. E la nostra presenza così variegata è per noi consolazione.

Ci daremo la mano al momento dello scambio della pace e ci augureremo “Pace” reciprocamente; ascolteremo le stesse parole in un contesto di comunione fraterna.

Ho celebrato la solennità della Pentecoste in comunità geograficamente lontane, accompagnato dall’immagine di chi va a raccogliere anche nelle periferie i propri amici per portali nel cuore e per testimoniare il ricordo, perché sentano la comunione della loro Chiesa. Periferie geografiche come immagine di quelle periferie esistenziali di cui il Santo Padre Francesco spesso fa memoria.

Lo Spirito Santo, dono del Risorto, è effuso sempre come principio e motore di unità. Le nostre famiglie, i nostri gruppi, le nostre comunità cristiane sono chiamate a vivere nell’unità e a superare tutto quanto può essere occasione di divisione e di separazione.

C’è una bella invocazione in una delle preci eucaristiche: «La Chiesa risplenda in mezzo agli uomini come segno di unità e strumento della tua pace». Siamo dunque debitori, noi cristiani, di una permanente testimonianza di pace e di fratellanza, sapendo che la Chiesa è in Cristo sacramento di unità per il genere umano: meta sempre importante e sempre da raggiungere!

Pregheremo anche con queste parole: «A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito».

Questa preghiera è particolarmente significativa anche in questo tempo in cui rischiamo divisioni tra noi cristiani e a ogni livello politico, sociale, culturale ed anche ecclesiale. Molti si stanno separando e dividendo gli uni dagli altri. Come se la fede e la preghiera non avessero forza per animare la vita di tutti i giorni.

Una particolare sofferenza è vedere l’allontanamento e, spesso, la separazione dei giovani dalle nostre comunità di fede, ma anche la lontananza delle giovani famiglie (anche quando partecipano a percorsi formativi legati al cammino dei loro bambini); logiche di separazioni attraversano i cristiani che lavorano nel mondo della politica, degli impegni sociali, culturali, etici.

La separazione è diventata come una malattia all’interno delle nostre stesse case.

A questa preoccupazione è legato il messaggio che ho inviato alla nostra Città in occasione della festa di sant’Antonio. L’unità di fede non scoraggia la pluralità e il pluralismo, anzi crea contesti in cui la diversità diventa ricchezza, ricerca di strade nuove, scoperta di sintesi sempre nuove.

Prima della comunione, anche oggi, pregheremo dicendo: «Signore Gesù, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa e donale unità e pace!».

L’unità delle nostre comunità e di tutti noi cristiani ha segni visibili a cui poter guardare. In essi riconosciamo che l’unità ci precede e viene garantita dal Signore. Il Santo Padre, il vescovo di Roma, ad esempio è il segno visibile e garante dell’unità, voluta da Dio e realizzata da Gesù, della Chiesa universale.

Tutti i cristiani, dunque, a qualunque popolo appartengano sono raggiunti dall’attenzione e dal servizio del Vescovo di Roma che tesse continuamente fili di comunione: uomini e donne di ogni lingua e di ogni continente, soprattutto i nostri fratelli più poveri ed esclusi. La nostra comunione con il Santo Padre è adesione personale e comunitaria alla carità che ci unisce a tutte le Chiesa e a tutti i cristiani del mondo intero.

Con la grande speranza che dalla nostra fratellanza universale nasca un mondo più fraterno e giusto.

Anche il vescovo, nella porzione di chiesa che gli è affidata, è segno di unità. Segno visibile perché il riferimento per tutti noi è anzitutto Gesù il Signore. È in lui che ci troviamo fratelli.

Sono segno di unità le nostre liturgie, la comune condivisione di percorsi catechistici, l’adesione allo stesso spirito di carità, di giustizia e di attenzione ai poveri.

Di fronte al Signore, al Pane della parola e della carità che egli ci offre, siamo dunque continuamente chiamati a camminare verso un’unità che da esperienza religiosa diventi storia umana, nella quotidianità dei pensieri, del confronto con gli altri, del rispetto reciproco.

Per questo non può venir meno un continuo anelito a riconoscere nell’altro un fratello; non può venir meno la continua ricerca di percorsi di riconciliazione e di pace, proprio come si conviene a una sola e unica famiglia che ha Dio come Padre e Gesù come fratello.

Anzi, se presentandoti all’altare ti ricordi che un tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello, poi vieni e presenta la tua offerta.

Uscendo dalla Basilica del Santo siamo mandati a costruire, proprio nella città da cui veniamo, l’unità che abbiamo ricevuto come dono e che abbiamo celebrato e sperimentato.

Veniamo restituiti al mondo, rimandati nel mondo, come costruttori di unità, profeti capaci di riconoscere negli altri, seppur diversi, volti che restano quelli dei propri fratelli e sorelle. Talvolta il volto può essere deturpato da qualche sofferenza o povertà (e vorrei precisare che a rendere brutti non sono solo le povertà materiali!), ma noi educati e formati dal Signore riconosciamo che sempre di un fratello si tratta. Con lui o per lui diciamo: “Padre nostro”.

Una Città che celebra il suo santo, unita al suo vescovo, ospitale nei confronti di tutti, diventa icona profetica di una società e di un mondo riconciliati, nella pace. Le guerre, le disuguaglianze e le ingiustizie, le divisioni e le intransigenze ci interpellano per una missione nuova, più sicura, più convinta. Sono gli spazi dei miracoli, dove compiere nel nome di Gesù, segni prodigiosi.

Partiremo dunque anche noi e predicheremo ovunque, certi che «il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano».

Usciremo da questa chiesa come servi dell’unità nelle nostre case, nelle nostre comunità, nella nostra società.

Il Signore ci conceda questa grazia per intercessione di sant’Antonio. Amen.

+ Claudio Cipolla, vescovo di Padova

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