11_#iorestoacasaepenso_don Raffaele Gobbi

Quaresima, quarantena? Somiglianze e differenze

C’è la persona immunodepressa a causa di pesanti terapie: deve vivere blindata in casa tra mille precauzioni.

C’è chi, in attesa di giudizio, è sottoposto agli arresti domiciliari per mesi e mesi.

Migliaia di persone vivono stipate e rinchiuse in campi profughi dalle condizioni disastrose.

Stare in quarantena dice grosse privazioni e pericoli molto gravi, come quelli citati. In fondo la maggioranza di noi, in questa quaresima così inusuale e sfidante, non può paragonarsi a situazioni del genere.

Stare in casa è un’occasione in più per accogliere quanto annunciato il Mercoledì delle Ceneri: digiuna, sii carità e prega «il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,6). «Segreto» ritorna in quel brano per sei volte a dipingere un orizzonte contemplativo, interiore, discreto ma non chiuso, né limitato e bloccato, come invece il termine «quarantena» evoca. Più che quarantena, si tratta di abitare con intensità il «segreto», la profondità di sé, delle relazioni, di Dio in noi.

  1. Per chi prega nessun luogo è off limits, estraneo. Questa quaresima inedita sollecita spazi di interiorità da coltivare personalmente, in e come famiglia (senza dipendere dagli input, fin troppo numerosi, che giungono via streaming, whatsapp, facebook ecc). E inoltre quanto di più intimo c’è, come la preghiera, può e deve dilatarsi e abbracciare il mondo intero. La Chiesa in questo senso ha voluto che una monaca di clausura – Teresa di Lisieux – fosse la patrona delle missioni.
  2. La carità è creativa. Siamo lontani fisicamente dai consueti contatti sociali e da una quotidianità a volte frenetica: troviamo quindi una nuova grammatica della prossimità e della solidarietà! Penso alle famiglie con figli piccoli che faticano molto a stare tappati in casa; al logorio di coppie che per la continuativa forzata convivenza alla fine traballano; alla solitudine ancor più pesante degli anziani; ai senza dimora ancor più abbandonati. Largo alla fantasia della solidarietà: con i mille modi di comunicare che abbiamo, poi!
  3. Lasciare è per trovare, il digiuno è per scovare l’essenziale. Andare oltre consuetudini e abitudini, anche nelle celebrazioni, per capire quanto siamo cristiani consapevoli, in grado di custodire il dono della fede anche in questo momento di deserto. Per scoprire Chi e Cosa ci manca. È allora un digiuno che ci fa toccare con mano che “ci si salva insieme”, nella forza e bellezza di essere un’unica famiglia umana.

don Raffaele Gobbi, direttore Ufficio diocesano di Pastorale della Missione

30 marzo 2020

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