Gesù non è venuto per condannare ma per salvare

L’episodio narrato dal Vangelo di questa domenica – Gesù che perdona la donna adultera che scribi e farisei volevano lapidare – mostra in atto la misericordia del Signore che non è venuto per condannare ma per salvare. Il racconto ci fa riflettere su importanti atteggiamenti della nostra vita cristiana.
 
Vediamo anzitutto rappresentata una violenza di gruppo verso la donna. La violenza di gruppo – che a volte prende la fisionomia del branco – è un fenomeno piuttosto diffuso. La violenza di uno scatena la violenza dei componenti il gruppo. Gesù lancia la sfida: «Chi è senza peccato lanci per primo la pietra». Se uno l’avesse fatto, gli altri l’avrebbero seguito. Siamo ammoniti a non lasciarci condizionare da mentalità ed esempi diffusi, ma sbagliati.
 
La violenza poi si esprime verso la donna che, nella società di allora, non godeva della parità di diritti rispetto agli uomini. Oggi la donna nelle società occidentali ha largamente acquisito parità di diritti; in altre no; in ogni caso è ancora soggetta a violenza di gruppo. La legislazione italiana ha depenalizzato l’adulterio, il che non significa che sia lecito. La cosa essenziale è l’essere uguali nel fare il bene, non nel fare il male.
Un aspetto molto importante dell’episodio è che Gesù smaschera un atteggiamento purtroppo abbastanza frequente anche nelle persone religiose: l’ipocrisia. Teniamo presente che la legge, la quale ha in ultima analisi il fondamento in Dio stesso, obbliga in coscienza davanti a Dio. L’ipocrisia si manifesta quando la persona, invece di esaminare con sincerità la propria coscienza davanti a Dio, giudica e condanna gli altri.
 
La donna adultera ha realmente violato la legge; per questo gli scribi e farisei vorrebbero lapidarla. Che fa Gesù? Li rimanda alla propria coscienza; implicitamente dice loro: la legge che la donna ha violato e per cui volete lapidarla, forse voi l’avete osservata? Si può qui ricordare quello che ha scritto San Paolo: «chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose» (Rom 2, 1). Teniamo presente, a questo proposito, che psicologicamente si è portati a criticare gli altri nella misura in cui noi stessi siamo criticabili.
Scribi e farisei non hanno osato condannare la donna, e a ragione. L’unico che poteva condannarla perché assolutamente puro e innocente era Gesù. Ed ecco che Gesù pronuncia quelle parole che contengono il messaggio centrale dell’episodio: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Qui si rivela l’amore misericordioso del Signore che è venuto non per condannare, ma per salvare. Notiamo che Gesù non approva e non giustifica il peccato; infatti dice alla donna: «d’ora in poi non peccare più». Condanna il peccato, ma vuole salvare il peccatore. Così dovremmo fare anche noi; non, come succede, giustificare il peccato e condannare il peccatore. La misericordia che Dio sempre ci offre ha lo scopo di liberarci dal male e di rinnovarci.
 
Perdonandoci, Dio ci offre una possibilità di ripresa, di ricominciare una nuova vita. Nella Lettura sono risuonate queste parole del Signore: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?». Accogliendo il messaggio della Parola di Dio, liberiamoci dall’ipocrisia, non giudichiamo e condanniamo gli altri, accogliamo con fiducia la misericordia di Dio anche nel sacramento della riconciliazione per rinnovarci interiormente e ridare slancio e fervore alla nostra vita cristiana.
 
Antonio, Vescovo
 
 
 
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