Don Gianfranco Lazzarin è tornato al Padre

Le esequie venerdì 7 febbraio alle ore 15 a Prejon

È mancato nella mattina di martedì 4 febbraio, all’ospedale di Vicenza don Gianfranco Lazzarin (1935-2020). Le esequie saranno celebrate dal vescovo Claudio a Prejon venerdì 7 febbraio, alle ore 15. La salma proseguirà poi per il cimitero di Fossò. La sera di giovedì 6, alle ore 20, nella chiesa di Agna vi sarà un momento di preghiera. La vicinanza della Chiesa di Padova va alla sorella Gianna, al cognato Vincenzo e al nipote Gabriele.


Don Gianfranco nasce a Fossò il 6 marzo 1935 e viene ordinato presbitero nella chiesa del Seminario il 10 luglio 1960. Inizia il suo ministero di giovane prete come cooperatore a Limena e nel 1964 passa a Pernumia, con lo stesso incarico. Nell’autunno del 1969, invece, è cooperatore a Castelbaldo. Nell’ottobre 1973 diventa parroco di Stoccareddo, dove rimane vent’anni. Scrive: «Ho amato le anime di questo mio gregge dal primo giorno e tutt’ora le amo. Il mio lavoro qui è lungimirante, paziente, senza forzature. Inseguo i lontani e contemporaneamente faccio il maestro-pastore dei vicini».

Nell’agosto del 1993 gli viene affidata la comunità di Prejon, dove manifesta generosità e dedizione instancabili, spendendosi nella conoscenza delle famiglie e nella decorazione della chiesa, con un’attenzione per gli ultimi e i poveri.

Nel settembre 2005 nasce l’unità pastorale di Agna, con le parrocchie di Borgoforte e Frapiero, già collaudate nella collaborazione in quanto all’interno dell’allora vicariato di Agna: Prejon entra a farne parte staccandosi dall’allora vicariato di Conselve. Don Gianfranco diventa co-parroco delle quattro parrocchie e quando nel 2010 la canonica di Agna viene scelta come luogo abitativo per la comunità presbiterale anche don Gianfranco vi si stabilisce in modo permanente. L’unità pastorale e la collaborazione delle parrocchie vedono don Gianfranco attivo e presente in ognuna delle quattro comunità, dove pian piano si distingue per passione, simpatia e amicizia con i parrocchiani, correttezza e fraternità verso i confratelli. Nel corso degli anni si avvicendano nel servizio diversi preti e diaconi, con i quali vive un sereno, gioioso e stimolante rapporto di stima e sostegno reciproco, tanto da essere per 15 anni un elemento di continuità, sempre partecipe delle occasioni comuni e capace di riconoscimento grato qualora una iniziativa, un’esperienza, o un’omelia lo meritassero. Grazie alla sua presenza, la canonica acquista un tocco di vitalità accogliente anche verso le persone che vi passano, gli animatori parrocchiali e nei confronti di una famiglia straniera ospitata per alcuni mesi del 2017. Con umanità e intensità vive anche tutto il periodo faticoso della presenza di tanti migranti nelle basi di Cona e Bagnoli.

Don Gianfranco era amante della natura e degli animali, del lavoro dei campi, dell’orto e del giardino, instancabile e tenace nel lavoro manuale, che si trattasse di portare carriole, costruire il campo da calcio per i giovani, oppure abbellire una chiesa, anche mettendoci di tasca propria quando le comunità non avevano i mezzi economici.

«Uomo dalle mani ruvide a forza di togliere pietre dal suo orto, potare le vigne, vendemmiare l’uva, raccogliere frutti che pazientemente aspettava maturassero dal suo piccolo frutteto, piantare fiori, con la stessa forza con cui soccorreva le necessità di coloro che nella vita pensavano di aver seminato del buon grano ed erano invece costretti a raccogliere solo gramigna».

Coltivava tanti interessi culturali, in modo ecclettico e tutto personale, interessandosi, in particolare, di storia, geografia, conoscenza del territorio come anche di più ampie questioni sociali e politiche, tanto da dedicarsi alla lettura, alla raccolta di materiale informativo, a conferenze di vario genere, a viaggi in paesi europei o della ex Jugoslavia, dove la storia andava muovendosi.

«Se penso a don Gianfranco non posso non fare riferimento al suo breviario impregnato di umanità, al suo camice colorato dalla terra, al suo rosario che veloce scorre tra le sue dita come le ruote della macchina veloci girano sull’asfalto; il suo bicchiere di vino ricavato dall’uva spremuta con le sue mani con la stessa forza con cui teneva e innalzava il calice della salvezza nella liturgia; il suo studio zeppo di ricordi come i suoi pensieri modellati sulla vita del mondo e dalla vita delle persone che ha incontrato. Amava viaggiare, viaggiare per scoprire e tornava a casa con il profumo della terra che aveva visitato».

Inoltre, don Gianfranco era molto sensibile alla causa missionaria: ha potuto visitare il Kenya e l’India, incontrare Madre Teresa di Calcutta e, allo stesso tempo, interessarsi a diverse figure missionarie diocesane, raccogliendone testimonianze e notizie. In particolare, era molto legato alla vicenda di padre Ezechiele Ramin e alla sua famiglia, tanto da essere sempre partecipe alle proposte del Centro studi Padre Ezechiele Ramin di Campagnola. Altrettanto si interessò di Massimo Barbiero, originario di Fossò, membro dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, morto tragicamente in Venezuela nel 2010.

Don Gianfranco aveva un carattere forte, estroverso, tenace e determinato; era anche stravagante, don Gianfranco, talora ruvido e poco diplomatico, ma dal cuore tenero, capace di commuoversi per i successi o le sofferenze della sua gente, capace di piangere anche al vedere le persone allontanarsi dalla vita di fede. Schivo nelle relazioni, sapeva comunque correre per le necessità di chi lo chiamava, tanto non voleva ingombrare il tempo delle persone. Innamorato di Dio e della vocazione sacerdotale, coltivava in modo convinto l’abituale e sobria spiritualità fatta di preghiera, sacramenti, carità e ascolto. Sostava molto tempo davanti all’Eucaristia in adorazione, anche con la speranza che la sua presenza davanti a Gesù invogliasse altri a farlo. A questo proposito, una persona ha commentato in questi giorni: «È come se fosse andata via l’ultima preghiera che avevamo». Innamorato della figura di papa Francesco, ne divulgava i documenti che più lo appassionavano e coltivava una devozione tutta personale per il beato mons. Carlo Liviero (già parroco di Agna, poi vescovo a Città di Castello), cui ha spesso affidato preghiere per sé e per altri. Negli anni del suo ministero si è molto speso per le confessioni, abitando il confessionale non solo delle sue comunità, ma pure abitualmente delle comunità vicine. Una volta sollevato da impegni pastorali più precisi, ha dedicato molto tempo alla visita dei malati e degli anziani, fedele all’incontro con coloro che chiamava «i reclusi in casa», ai quali portava non solo l’Eucarestia, ma anche una caramella, un cioccolatino, un piccolo dono acquistato per il tempo di Natale, per il loro compleanno o a ricordo del viaggio compiuto.

A partire dall’estate 2018, le condizioni di salute lo avevano portato a passare dei periodi al Cenacolo di Montegalda. A seguito di un intervento, la morte lo ha raggiunto la mattina del 4 febbraio 2020, all’ospedale di Vicenza.

 

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