Veglia diocesana per il lavoro – 2018

02-05-2018

VEGLIA DIOCESANA PER IL LAVORO

Mercoledì 2 maggio 2018

Officine Facco & C. Spa – Campo San Martino (Pd)

Anzitutto desidero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questo momento di riflessione e preghiera: in particolare Massimo Finco e le Officine Facco, perché hanno aperto con generosità le porte della loro azienda per darci la possibilità di porre questo segno forte di unità tra la fede e la vita, tra la preghiera e il lavoro, tra il nostro essere cristiani e il nostro essere cittadini e lavoratori.

Mi piacerebbe che questa fosse la prima tappa di un viaggio da compiere nei prossimi anni in tanti altri luoghi di lavoro. Questo appuntamento dice che i nostri luoghi di lavoro sono “terre sacre”, dove si compie il miracolo continuo della creazione. Sono “terre sacre” da proteggere rispetto a tutto ciò che le profana: ingiustizia, pigrizia, violenza, disonestà, inequità, furbizia, pressapochismo, sufficienza, precarietà, appiattimento, spersonalizzazione, avidità, arrivismo, competizione cattiva, insicurezza e pericolo per la vita.

È bello vedere qui radunati imprenditori, maestranze e lavoratori, cittadini di questi territori, cristiani delle parrocchie circostanti, responsabili della cosa pubblica, rappresentanti di categorie imprenditoriali e di sindacati, associazioni di ispirazione cristiana e anche coloro che sono stati feriti nel lavoro. Ed è bello che questo momento di preghiera sia stato preparato insieme da tutti.

Sono contento e siamo molto onorati anche della presenza di mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i Problemi sociali e il Lavoro: il suo impegno a livello nazionale nello spingere la Chiesa italiana a impegnarsi per il lavoro, e il suo impegno a Taranto, città segnata dall’Ilva e da tutte le contraddizioni che essa porta con sé, ci sono di esempio nel mio e nostro impegno su questi temi.

È dunque un momento corale: siamo comunità radunata per chiedere a Dio la benedizione di un lavoro buono, secondo quegli aggettivi così significativi che Papa Francesco, e la Settimana sociale dei cattolici italiani di Cagliari ci hanno suggerito: libero, creativo, partecipativo e solidale.

Questo momento diventa gratitudine per tutti coloro che si impegnano da sempre affinché ci sia lavoro buono.

Le riflessioni che ci sono state proposte sono già tante. Ed è interessante che si possa parlare del lavoro con linguaggi diversi: la parola, la danza, il canto, le immagini. Questo dice che il lavoro è un’esperienza profondamente umana, che coinvolge in profondità il tutto della persona. Il lavoro è parte essenziale della nostra vocazione personale.

C’è una “durezza” del lavoro, che spesso emerge nella percezione personale e collettiva, a causa di tante contraddizioni. Vorrei sottolineare tre tratti essenziali che sono in grado di scalfire la “durezza” del lavoro, facendo emergere i suoi lati più pienamente umani. Questi tratti sono anche condizioni, che la collettività deve saper garantire: con le sue leggi, ma ancor prima con la sua mentalità e con la sua cultura diffusa.

  1. Il lavoro è umano quando è alternato al riposo e alla festa. Fermandosi si può contemplare fino in fondo il significato umano del lavoro. C’è una bellezza nel lavoro che risalta nella festa, e per i credenti, nella lode a Dio per i frutti del lavoro. Un tempo ritmato tra lavoro e festa è un tempo pienamente umano, ed è più umano quel lavoro che si adatta al tempo ritmato dalla festa e dalla lode. La nostra cultura ha conosciuto, grazie anche alla tradizione giudaico-cristiana, il ritmo del tempo, vedendolo addirittura in Dio (cfr. Genesi). Il progressivo abbandono di questo ritmo in alcuni settori – penso al commercio – non è un progresso nella civiltà, ma una regressione. La Chiesa di Padova, insieme con tutta la Chiesa italiana, sosterrà sempre ogni iniziativa, anche legislativa, volta a regolamentare il ritmo del lavoro e della festa per più categorie possibili.
  1. Il lavoro è umano e meno duro quando è fatto insieme. Si ha l’impressione che oggi questa dimensione comunitaria si sia in un certo senso smarrita. Un po’ sono cambiate le forme organizzative del lavoro: ma questo non deve farci perdere il valore della solidarietà nel lavoro e il senso che il lavoro è un’opera comune! Le migliori imprese sono quelle che fanno percepire questo senso del lavorare insieme, che si costruiscono come comunità di persone. Anche le vostre associazioni sindacali e di categoria hanno un grande valore: ci aiutano a percepire che il lavoro è un fatto collettivo. Esse sono luoghi che aiutano a difendere i diritti, e anche i legittimi interessi. Sono anche luoghi dove si costruisce una visione comune di sviluppo, di progresso, di valore. I normali conflitti della dialettica sociale non siano mai distruttivi, ma sempre in vista di un bene più grande, per il maggior numero possibile.

A volte, nei conflitti che si creano, come Chiesa prendiamo posizione: lo facciamo quando riteniamo che ci sia da dar voce a una parte che in quel momento appare più debole. Penso ad esempio alle popolazioni che subiscono l’inquinamento dovuto a scelte industriali e politiche inopportune o superficiali. A noi pare che oggi il grido che si leva dalla terra inquinata e dalle popolazioni che ne subiscono le conseguenze chieda di essere sostenuto, non contro qualcuno, ma per uno sviluppo migliore, per un lavoro più rispettoso dell’ecologia integrale.

  1. Il lavoro è umano e meno duro quando produce valore per molti e quando chi lo compie ha la percezione che sta producendo valore per sé e per gli altri e non si sente sfruttato per il vantaggio di qualcuno.

Produrre valore significa coniugare obiettivi economici e finalità sociali. Siamo in una zona che tradizionalmente ha visto tante imprese che hanno saputo far questo, ponendosi come co-costruttrici di bene comune per l’intero territorio. La matrice più genuina delle piccole e medie imprese italiane è questa: essa non va smarrita, inseguendo altri modelli. Va potenziata, possibilmente anche premiata dalle regole pubbliche, rispetto ad altri tipi di imprese che vengono usate come moltiplicatori finanziari per pochi e magari anonimi investitori, a prescindere dal territorio.

È molto dura lavorare in un’impresa nella quale non percepisci che sta producendo valore per molti, ma che sta solo sfruttando un luogo e delle persone per obiettivi di natura esclusivamente finanziaria. Dobbiamo sostenere le buone imprese che producono valore, e pregare che ci siano anche in futuro imprenditori coraggiosi e amanti del loro territorio che le alimentino, le sviluppino, capaci di muoversi nel mondo intero, ma anche di custodire la radice piantata nella terra buona del proprio paese.

Forse anche come Chiesa possiamo contribuire a raccontare la buona impresa che produce valore. È stato fatto a livello nazionale con l’iniziativa Cercatori di LavOro. Qui da noi, una parrocchia qui vicina (Curtarolo), attraverso il suo “Osservatorio sul territorio”, da anni, cerca, attraverso mostre e convegni, di raccontare le imprese del territorio ai ragazzi e ai giovani, mostrando quello che producono, come lo fanno, i valori dalle quali le aziende sono nate, le persone che vi lavorano. È un modo “artigianale” per fare cultura popolare sul buon lavoro e la buona impresa. Per i giovani è importantissimo imparare a riconoscere il lavoro e le imprese buone, perché non diventino ostaggi di chi vuole sfruttarli, con lavori sempre meno dignitosi. E perché i giovani possano sognare la loro vita e avere un progetto di vita degno di essere vissuto con entusiasmo, scomodando la bella parola di vocazione: una vita e un lavoro vissuti nel Vangelo.

Oso dire che una buona impresa, è una “buona notizia” per tutti… e per questo va raccontata, anche dalla Chiesa, un po’ come il Vangelo, che in fondo è pieno di racconti di lavoro.

Come si vede Vangelo e lavoro, azienda e comunità cristiana possono incontrarsi.

Che la Sapienza che abbiamo citato prima, ispiri ogni nostro pensiero e ogni nostra scelta. E che Dio benedica la terra con il buon lavoro e le nostre azioni responsabili siano moltiplicatrici della benedizione di Dio.

+ Claudio Cipolla

vescovo di Padova

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