Omelia per la festa di sant’Antonio – 13 giugno 2020

13-06-2020

Completo un periodo abbastanza lungo di pellegrinaggio ai santuari mariani della nostra diocesi con il pellegrinaggio a nome della Chiesa patavina alla Basilica del Santo. I santuari mariani sono quasi tutti edificati a seguito di qualche voto del popolo cristiano che riconosceva il Signore come fondamento della propria vita e della propria salvezza nello scorrere dei secoli. Il santuario esprimeva, infatti, il desiderio di testimoniare e di raccontare alle generazioni future la fede che aveva sostenuto e incoraggiato i cristiani in mezzo alle tragedie, alle pesti, alle guerre.

Contemporaneamente i pellegrinaggi del mese di maggio hanno posto davanti ai miei occhi la figura di Maria, Madre del Signore e immagine della comunità credente, e mi riportavano ad adeguare a quelli di Maria i miei e nostri sentimenti di fede.

Anche i santi, e tra questi sant’Antonio, nostro patrono, con il quale la città ha stipulato un patto per reciproci impegni, ci portano a verificare i nostri sentimenti con quelli di uomini e donne che la Chiesa ha riconosciuto come esemplari. La celebrazione di lode al Padre contiene allora quest’oggi una preghiera particolare: per intercessione di Maria, Madre santissima del Signore e di sant’Antonio, nostro patrono, ci venga accordato il dono della vera conversione del cuore. Questo è il miracolo di cui io e voi abbiamo bisogno, sempre, perché la fede è un cammino e la meta si schiude man mano che si avanza.

Guardare a Dio, lasciarci guidare da Lui, fidarci di Lui, affidarci a Lui certi del suo amore. Come hanno testimoniato i nostri avi, come nei secoli passati ha fatto il popolo di cui siamo figli e di cui ci parlano questo e tanti altri santuari, segni e testimonianza della fede di un popolo.

In questi tempi mi sono molto interrogato circa il nostro rapporto con Dio soprattutto perché è emerso, e ne dobbiamo essere felici, l’impegno e il contributo dell’uomo, della scienza, della politica, dell’economia e della finanza. L’uomo sembrerebbe capace da solo di darsi la soluzione per i drammi che via via la natura e la storia gli presentano. Le persone e le realtà su cui appoggiare il nostro “star bene”, il nostro benessere fatto di salute soprattutto, ma anche di progresso, sembrano altri rispetto a Dio. Rivolgersi a Dio sembra diventato ormai un residuo di pietà popolare, ricordo di qualche decennio passato.

Ci parlino allora i nostri padri che avevano maturato una convinzione diversa e ci hanno lasciato questi santuari a testimonianza della loro fede nella quale hanno visto sostegno e protezione.

In questo dialogo tra la nostra fede e la nostra ingegnosità e perizia, ho visto qualcuno indifferente nei confronti di Dio, qualcuno arrabbiato, qualcuno mercanteggiare con Lui (dico una preghiera per avere in cambio qualcosa); ho visto anche usare e strumentalizzare Dio e tutto quanto è collegato a Lui; ho visto anche persone che hanno saputo rivolgersi di nuovo a Lui e dopo tanto tempo, umilmente, hanno espresso una preghiera.

Nella prova emerge la nostra verità. Di fronte alla paura, alla morte, all’angoscia, proprio quando siamo nella prova, emergono in noi forze e debolezze che non conoscevamo presenti in noi, a volte emerge anche una fede che non pensavamo di possedere. Ci ritroviamo a formulare di nascosto, nel segreto del nostro cuore, una preghiera, scopriamo un sentimento filiale nei confronti del Padre, un sentimento fraterno per il Signore Gesù e per la sua santissima Madre, ci rivolgiamo ai santi e tra questi a Sant’Antonio in particolare: è quel dono che viene fatto a tutti da Dio stesso, piantato nel profondo del nostro cuore fin dalla nascita, che emerge e consola. È l’amore di Dio riversato nei nostri cuori che trova spazio nella fragilità e che ha portato Gesù a proclamare «Beati i poveri, beati gli afflitti, beati gli affamati di giustizia… perché di essi è il Regno dei cieli».

Le esperienze di preghiera vissute in questi tempi di fragilità e di sgomento vanno interpretate e lette. Mi sono domandato che cosa hanno rivelato della nostra fede e della nostra relazione con il Padre celeste. Quando abbiamo pregato? Come le nostre comunità hanno pregato essendo venuti meno gli appuntamenti abituali? Che relazione si è manifestata tra noi e Dio, e soprattutto quando e come il nostro rapporto con Dio ha seguito l’esempio di Gesù, il figlio perfetto, nel qual il Padre si è compiaciuto?

Gesù: anche Lui, infatti, ha attraversato sofferenza e angoscia. E anche di Lui abbiamo conosciuto l’interiorità proprio soprattutto nel tempo della prova: «Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito», «Non la mia ma la tua volontà si compia».

E anche Maria: « si faccia di me secondo la tua Parola». E sotto la croce: «stava la Madre» (resisteva).

Queste parole e preghiere nascono da un cuore pienamente fiducioso di essere accompagnato dall’amore di Dio, di essere da lui custodito anche nel momento della prova più estrema come quelle della solitudine, del tradimento, della morte. Con la forza che nasce dalla certezza dell’amore del Padre, Gesù affronta tutti i nemici compresa la morte. Nella prova è emersa la grandezza e l’interiorità di Gesù.

Questa è la conversione che miracolosamente chiediamo per intercessione di sant’Antonio: la fiducia piena in Dio, la consolazione di saperci nelle sue mani, la capacità di abbandonarci al suo disegno di amore per il mondo nel quale siamo stati chiamati.

Molti dei nostri defunti, nella solitudine del loro morire, hanno scavato nella loro interiorità e hanno scoperto questa luce, questo piccolo seme che giaceva silenzioso e nascosto: con questo piccolo lume, che nessuno può conoscere, hanno affrontato la loro battaglia. Non soli, con Gesù e la sua comunità. Ne sono testimoni i presbiteri che hanno frequentato gli ospedali e che ci hanno parlato del sorriso degli ammalati al loro passaggio, ne possono essere testimoni medici e infermieri che hanno arricchito la loro professionalità con la parola gratuita, umile e spesso segreta, della fede.

Anche se la nostra relazione con Dio inizia chiedendogli qualcosa di materiale per noi stessi o soprattutto per i nostri cari, come la salute e il lavoro, Dio sa leggere nelle domande e si fa Padre manifestandosi nella sua divina paternità. Egli ci educa progressivamente ad essere figli che non temono Dio ma lo amano; che non pretendono di insegnare a Dio ma gli obbediscono fiduciosi; che non misurano la sua credibilità ma si abbandonano nelle sue braccia.

Anche noi suoi ministri, vescovi, sacerdoti, catechisti, dobbiamo apprendere sempre più l’arte di accompagnare a Dio, al Dio di Gesù Cristo – di cui sant’Antonio era testimone – i nostri fratelli, educando il loro il vero abbandono al suo amore.

Immersi, battezzati come dice il Vangelo, in questa certezza, arricchiti dallo Spirito evangelico non ci sottrarremo al dinamismo e al protagonismo della nostre capacità umane, ma daremo alla scienza, alla politica, alla finanza, all’arte un senso: il bene dell’umanità!

+ Claudio Cipolla

Vescovo di Padova

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