Esequie di S.E. Mons. Antonio Menegazzo – 2019

Duomo di Cittadella (Pd)
25-03-2019

Omelia

Un angelo, una donna, un tempo e una città.

L’angelo si chiama Gabriele, la donna vergine Maria, il tempo e la città: Nazareth 2000 anni fa. Le specificazioni sono per dare carne al mistero dell’amore di Dio che sempre si ripete, o meglio, che sempre accade, come allora.

Come allora, l’angelo è la Parola che abbiamo accolto, portata dal diacono a nome di Dio e con la sua forza. È parola che trasforma ogni cosa: l’abbiamo venerata e baciata, l’abbiamo acclamata “È parola del Signore”. È parola di salvezza e di gioia: «Rallegrati piena di grazia: il Signore è con te!» (Lc 1,28).

La donna-vergine è la Chiesa qui radunata, una Chiesa con il cuore grande, ricco di storia e di legami, dall’Africa, dove ha servito, soprattutto in Sudan, il vescovo Antonio, al Brasile, al Kenya, Etiopia, Thailandia, Ecuador dove sono presenti nostri preti e laici; alle nostre chiese di origine fino alle tante chiese sorelle che il Signore ci ha fatto abbracciare e dalle quali siamo stati ospitati per quel mandato missionario che è proprio di ogni cristiano e che Daniele Comboni ha caratterizzato con un suo carisma particolare nel quale si è sentito interpretato il vescovo Antonio Menegazzo. Questa Chiesa, dal cuore universale, è vergine! Incapace di darsi la salvezza da sola, impossibilitata a portare frutti con la sua limitatezza e povertà.

Una parola, un Vangelo per una Chiesa che vede di fronte a sé un fratello nuovo. La morte ancora una volta ci ha visitati. Non è il suo volto più terribile, ma è sempre con grande turbamento che accogliamo nella nostra vita. Ci ricorda che anche noi siamo creature e che moriremo, ci ricorda le persone care già morte e quelle che temiamo di pensare… ci ricorda i giovani e i bambini quando sono raggiunti dalla morte e, in modo particolare, scopriamo la nostra limitatezza e povertà. La morte ci turba, ci fa paura.

Arrivano allora, portate dall’angelo, le parole del Signore, di Dio, sono annunciate a noi: «Non temere, hai trovato grazia presso Dio» (v. 30).

Inizia così il racconto dell’Incarnazione del Figlio di Dio dentro la nostra storia, un racconto che culmina in quella tomba vuota quando il Signore Gesù sconfigge la morte e regnerà per sempre e il suo Regno non avrà mai fine.

Noi, come Maria, accogliamo la parola nel nostro cuore, la acclamiamo, la portiamo a tutti, ma soprattutto ai più deboli e poveri, in ogni parte del mondo e in ogni angolo di vita… Noi seguiamo Gesù, il risorto, abbandonati alla sua volontà, perché come Maria, siamo suoi servi: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38).

Queste parole, questa storia di relazione con il Signore, erano all’origine della semplicità e dell’umiltà del vescovo Antonio. Da qui riceve forza per restare umile: “Caritas Christi urget nos”, la carità di Cristo ci spinge, ci sprona, ci orienta.

Personalmente ho conosciuto poco il vescovo Antonio, ma l’ho stimato tanto. Ogni volta che lo incontravo, mi parlava con il suo silenzio, con la sua umiltà e con la tanta stima con la quale mi sorrideva e guardava, sempre pronto a sostenermi, favorirmi, quasi timoroso di poter fare qualcosa di non opportuno.

Che grandezza la sua umiltà!

Questa storia di salvezza e di amore è stata vissuta da Gabriele, Maria, Nazareth 2000 anni fa, ma anche da noi oggi, da Angelo e Antonio, oggi.

Anche il vescovo Antonio ha potuto dire: «Eccomi, sono tuo servo, avvenga per me secondo la tua Parola». Così continua la storia della salvezza dell’uomo e dell’umanità.

Chiedo al Signore di essere io stesso generoso nel fidarmi della sua Parola, chiedo il dono dell’umiltà e della semplicità, chiedo il dono del nascondimento anche quando il servizio chiede l’esposizione.

E mi chiedo di domandare questi doni con voi e per tutti voi.

+ Claudio Cipolla

vescovo di Padova

 

 

 

 

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