Santa Messa Crismale

 
 SANTA MESSA CRISMALE
Cattedrale – 1 aprile 2010
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Omelia del vescovo Antonio
 
 
La celebrazione della Santa Messa del Crisma che in questo Giovedì Santo ci raccoglie in Cattedrale è del più alto significato. Essa, infatti, manifesta la natura profonda della Chiesa quale Corpo mistico di Cristo, ripieno dell’unzione dello Spirito Santo, significata dagli Oli che saranno benedetti, e quindi Corpo Sacerdotale, regale e profetico di tutti i battezzati. Il Vescovo che presiede la celebrazione nella Cattedrale, Chiesa madre della Diocesi, è il segno vivo dell’unità visibile della Chiesa locale. Il vincolo di comunione è particolarmente forte con i presbiteri suoi più diretti collaboratori. Nella S. Messa pomeridiana “in cena Domini” commemoreremo l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale.
Viviamo, dunque, questa celebrazione con particolare intensità di fede e di comunione nell’unico Spirito.
 
1.           Tempo di prova
 
Il clima generale, sociale, morale e spirituale che respiriamo e in cui celebriamo quest’anno la S. Messa del Crisma appare tinto di grigio, se non di ombre scure.
Ma proprio per questo abbiamo ancor più bisogno di attingere motivi di credere ed energie di speranza da questa S. Messa e dal mistero pasquale di Cristo che celebriamo in questa settimana.
Le situazioni che viviamo, possiamo considerarle alla luce della categoria biblica della prova, della tribolazione e della tentazione. Ricordiamo che Gesù stesso ha subito la prova e la tentazione (cf Lc 4, 1-13; Eb 2, 18; 4, 15); nel “discorso di addio”, nell’imminenza della Sua passione e morte, ha ammonito i suoi apostoli: «Nel mondo voi avete tribolazioni» (Gv 16, 33).
San Paolo, giunto quasi al termine della sua corsa apostolica guardando in retrospettiva la sua missione, segnata da difficoltà e tribolazioni di ogni genere, attestava: «ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove» (At 20, 19).
È naturale che anche noi incontriamo prove e tentazioni.
Le prove che incontriamo sono di genere diverso. Alcune provengono dal “mondo”, cioè da una cultura neo-pagana, da un ethos e da modelli e stili di vita difformi e contrari allo spirito cristiano.
Essere cristiano significa allora un pensare, un valutare, un comportarsi alternativo alla mentalità del mondo. Ma l’essere alternativi per intima convinzione, senza essere accusatori degli altri, costituisce una prova. In questa situazione, chi è impegnato nel ministero apostolico può sperimentare l’indifferenza, la delusione di seminare tanto e di raccogliere poco.
Più dolorose sono le prove che provengono dall’interno della Chiesa stessa.
L'Apocalisse ci presenta la Chiesa, a immagine di Maria, come la “Donna vestita di sole” (Ap 12,1), e nello stesso tempo come una comunità che nel suo pellegrinare nei sentieri della storia verso la celeste Gerusalemme incontra opposizioni, persecuzioni e prove durissime fino al martirio. Tuttavia è sorretta e protetta da Dio contro gli assalti del drago infernale.
Oggi la prova tocca più da vicino e dolorosamente noi presbiteri perché porta alla luce un vissuto degradato di nostri confratelli, infedeli alla loro vocazione e al loro ministero.
Non mancano poi le prove che possono derivare dalla solitudine, dal sentirsi incompresi, da problemi di salute, da sofferenze varie, dall'assumere tutte le esigenze della spiritualità, dalle esigenze di rinnovamento della pastorale, dal ridisegno del volto della Chiesa nel territorio.
Questo quadro realistico potrebbe indurre al pessimismo e alla sfiducia. Ma un tale atteggiamento denoterebbe una mancanza di fede e di speranza teologale, una incomprensione del mistero di Cristo e della redenzione.
Il quadro descritto, inoltre, non è completo, perché vi sono tanti segni positivi operati dallo Spirito Santo. Basti pensare ai catecumeni che chiedono di diventare cristiani e di far parte della Chiesa e ci testimoniano l'azione dello Spirito. Quest'anno avremo anche il dono di dieci nuovi presbiteri. Nelle Visite pastorali incontro tanto bene nascosto compiuto da persone semplici ma ricche di fede viva e di grande umanità; presbiteri dediti, con ammirevole generosità, al loro ministero.
Anche nella notte più oscura brillano le stelle. E dopo la notte, viene l’aurora.
 
2. L’esempio del Curato d’Ars
 
In quest’anno sacerdotale, è proposto a noi presbiteri l’esempio del S. Curato d’Ars, S. Giovanni Maria Vianney. Nell'esercizio del ministero egli è stato provato da difficoltà esterne e interiori di ogni genere.
Provava il sentimento di non essere al suo posto, la persuasione personale di non saper fare il parroco, la consapevolezza di avere un'intelligenza mediocre e d’essere dotato di scarsa cultura. A questo si deve aggiungere che la situazione religiosa della parrocchia di Ars, quando vi giunse, non era migliore di quella odierna delle nostre parrocchie.
Sono anche da menzionare i sorrisetti più o meno sarcastici dei confratelli quando questo prete considerato di mediocre levatura intellettuale cominciò ad attirare folle da ogni parte. Fu bersaglio di invidie e gelosie. Ha avuto come collaboratore un vicario che si atteggiava come suo rivale.
Subì anche la prova della malattia e l'estenuazione per la sua rigorosa penitenza.
Sono da aggiungere al capitolo delle sue prove le vessazioni del demonio, che lo ha tormentato, bastonato, buttato giù dal letto.
Il S. Curato d’Ars, come S. Paolo, ha trovato in Dio il coraggio (cf 1Ts 2, 2) di essere costante in mezzo a tutte queste prove; coraggio che ha attinto nella preghiera assidua, nella fiducia e nella carità ardente.
È da rilevare, inoltre, che di fronte a difficoltà e situazioni difficili ha trovato un riferimento chiaro e fiducioso nel suo Vescovo, che lo ha consigliato e sostenuto. Il Curato d’Ars ci propone, dunque, un esempio di fedeltà a tutta prova.
 
3. Trarre profitto dalle prove
 
Nel momento che viviamo, un saggio discernimento dovrebbe portarci a trarre profitto dalle prove e tribolazioni, senza lasciarsi scoraggiare e provare un senso di delusione e tristezza. Le ragioni per farlo le abbiamo e sono molto solide. Devono basarsi sulla fede e sulla fiducia. Sappiamo infatti che Dio «non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva» (cf. Ez 18, 23; Ez 33, 11) e che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5, 20). La grazia dell'Ordinazione ha comunicato a noi presbiteri non uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza (cf 2Tm 1, 7). Lo Spirito Santo è il Consolatore e infonde sempre luce di sapienza e fortezza d’animo; ci dona – come abbiamo ascoltato nella 1° lettura – «olio di letizia invece dell’abito di lutto, veste di lode, invece di uno spirito mesto» (Is 61, 3).
La tribolazione diventa allora – come per San Paolo – il luogo non della desolazione, ma della consolazione (cf. 2 Cor 1, 4).
Dobbiamo pensare che il Signore, in quest'anno sacerdotale, ci vuole purificare e convertire ad una vita più esemplare, ad una testimonianza più trasparente, ad una maggiore fecondità spirituale.
In fondo, non solo i fedeli, ma anche la società guarda con vivo interesse alla Chiesa perchè percepisce che non è un’istituzione come le altre e vorrebbe vederla pura, santa, desidera che testimoni i grandi ideali e valori del Vangelo che proclama.
È certo che questo domanda a tutti noi una robusta vita spirituale, ci chiede di pregare e vigilare: «vigilate e pregate per non entrare in tentazione» (Mc 14, 38) ci ha detto il Signore.
Gesù stesso ce ne ha dato l’esempio «in preda all’angoscia pregava più intensamente» (Lc 22, 44).
La vita spirituale, unendoci al Signore, ci consente di essere fedeli e perseveranti nelle prove, meritandoci le parole di Gesù: «Voi siete coloro che avete perseverato con me nelle mie prove» (Lc 22, 28).
La prova ci provoca a rimotivare e rafforzare le opzioni e motivazioni fondamentali della nostra vita. Dovremo cercare di essere come Mosè il quale, in mezzo alle prove, «rimase saldo come se vedesse l’invisibile» (Eb 11, 27). “Vedere l’invisibile” significa contemplare il Signore con gli occhi della fede e custodire nel cuore la Parola di Dio (cf Lc 8, 15).
Altra attitudine da coltivare nelle prove è il non restare soli, ilnon affrontarle da soli, ma farsi aiutare, cercando la comunione e la collaborazione con i fratelli. La ragione è chiara: combattere da soli risulta più difficile e più rischioso. L’unione fa la forza. È necessario, dunque, che coltiviamo la spiritualità della comunione ecclesiale e della effettiva collaborazione pastorale.
 
4. Ministri che incoraggiano e consolano
 
Un compito pastorale molto importante per chi guida la comunità cristiana oggi, è certamente, non solo di essere personalmente un pastore che rimane saldo, ma anche un pastore capace di sostenere e incoraggiare i propri fedeli a rimanere saldi nelle prove della fede e perseveranti nelle scelte di vita cristiana.
Il presbitero adempie primariamente questo compito, anzitutto dando egli stesso un esempio vivo di costanza, di fedeltà alle proprie scelte di vita, di fortezza e fiducia nelle prove.
Un prete deluso, scoraggiato, lamentoso, sempre critico, non aiuta certo i fedeli a perseverare. È stata ed è una prova molto dolorosa per i fedeli la defezione dei presbiteri dal ministero e il loro comportamento errato. Occorre che abbiamo molto senso di responsabilità.
Oltre alla testimonianza personale, è necessario saper opportunamente svolgere il ministero della esortazione e consolazione apostolica con la predicazione e la vicinanza alle persone: sostenere i deboli e i timorosi, consolare chi soffre, infondere coraggio a chi cammina nella via del bene, motivare chi si impegna nell’apostolato e trova ostacoli; ravvivare in tutti la speranza della corona di gloria con la quale il Signore incoronerà i vincitori delle prove della vita.
Nella 2° lettura abbiamo ascoltato una parola che ci infonde fiducia illimitata: il Signore è «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap. 1, 5-6).
Radicati nel suo amore, che nella Pasqua raggiunge il vertice: «corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 1-2).

Antonio, vescovo

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