Risvegliamo le energie spirituali e morali

 
Risvegliamo le energie spirituali e morali
Il 9 marzo, mercoledì delle Ceneri, inizia il tempo della Quaresima, 40 giorni di preparazione alla Pasqua, festa centrale della fede cristiana. Che cosa c’è di più grande, di più decisivo della vittoria sulla morte con la risurrezione? Una vita senza Pasqua è una vita mancata. Quello che Cristo ha compiuto dobbiamo accoglierlo per farlo nostro con la forza dello Spirito.
Nel cammino verso la Pasqua, in questa Quaresima siamo chiamati, come comunità cristiana, a rinnovare l’impianto dell’“Iniziazione cristiana”, a rinnovare la stessa comunità nelle sue scelte fondamentali perché abbia ad essere realmente “grembo che genera alla fede”.
All’inizio di questo tempo di grazia ci viene rivolto un accorato invito alla conversione, cioè ad una inversione di rotta della nostra vita, ad una revisione della nostra mentalità, dei nostri criteri di valutazione, dei nostri modelli e comportamenti di vita. L’invito è di Dio stesso per bocca del profeta: «Ritornate a me con tutto il cuore […] ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso» (Gl 2,12-13). Nell’imporre le ceneri sul capo dei fedeli, il sacerdote rivolge le parole stesse di Gesù: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).
 
1. Discernere il nostro tempo per uscire dalla crisi
Queste parole divine sono di viva attualità; ci colgono, infatti, in una situazione di grave e preoccupante crisi, oltre che economica, morale e politica, più precisamente governativa che provoca turbamento della coscienza morale, conflittualità tra le istituzioni, rafforza la disaffezione dalla politica nella sua capacità di regolare e promuovere il bene comune della società. I cittadini si attendono giustamente, da chi detiene responsabilità di governo, esemplarità di vita, sobrietà, specialmente in tempo di crisi economica, onestà, legalità, rispetto delle istituzioni, ricerca e dedizione primaria per il bene comune.
Senza riferirsi specificamente al caso italiano, una parola illuminante l’ha pronunciata di recente il Papa Benedetto XVI quando ha detto: «La società e le istituzioni pubbliche ritrovino la loro ‘anima’, le loro radici spirituali e morali, per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azione pratica» (Discorso ai dirigenti e agenti della Questura di Roma, 22 gennaio 2011).
Alla crisi economica e politica si accompagna un preoccupante degrado dei costumi. Non siamo solo noi Vescovi o semplici cristiani a pensarlo. Il 44° rapporto del Censis descriveva recentemente «una diffusa e inquietante sregolatezza delle pulsioni e dei comportamenti individuali».
V’è da chiedersi se questo non sia la conseguenza della cultura egemone, di tipo secolaristico, edonistico-consumistico.
Si è assistito alla reazione di molte donne che hanno rivendicato la loro dignità offesa. Questo punto merita una profonda riflessione, che chiama in causa gli uomini e l’immagine della donna diffusa nei media e nella pubblicità, e quindi la sessualità. Qualcuno ha rilevato la contraddizione tra la rivendicazione della libertà sessuale e la riprovazione di comportamenti “liberi”, o piuttosto libertini, venuti allo scoperto. Sarebbe da ricordare che, da una corrente di pensiero è stato vagheggiato, e non solo vagheggiato, il superamento della visione cristiana della sessualità – che sarebbe inquinata dall’idea di peccato – con il ritorno alla naturalità pagana che sarebbe invece disinibita e innocente.
La realtà appare bene diversa. Tutti sanno che l’eros è una forza possente, che precede la razionalità e la volontà, fondamentalmente ambigua, che può essere orientata e integrata nell’amore autentico, ma può anche condurre a delitti atroci e infamanti: molestie, abusi, dilagare della prostituzione e della pornografia, stupri, omicidi.
La parola libertà, che viene rivendicata, indica un valore necessario e insopprimibile, al pari di quello di “dignità”, ma non si realizza così facilmente. Non basta la libertà da costrizione esterne; occorre tendere alla libertà che è auto-dominio della pulsioni interne; questa è estremamente difficile e non viene proposta. Prevalgono la concezione e la prassi di un individualismo soggettivo, che è irreale perché la persona è fondamentalmente relazione e in primo luogo relazione con Dio. Rimane sempre insuperabile l’affermazione di Cristo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
Sarebbe tempo che si rivedesse l’impostazione stessa del problema e che si avesse la lealtà e il coraggio intellettuale di mettere da parte pregiudizi, di superare incomprensioni, aprendosi alla conoscenza vera della visione cristiana, alla profondità della antropologia biblico-cristiana, alla sua saggezza, al suo realismo e alla grandezza e bellezza di quello che propone. La dignità della donna, al pari di quella dell’uomo, risplende come “immagine e somiglianza di Dio”. Il corpo non è una realtà meccanica esteriore all’Io della persona, è materia spiritualizzata, “tempio dello Spirito Santo”, destinato alla gloria dell’immortalità. È certo che il cristianesimo propone una perfezione. Ma sbaglia forse a farlo? Oppure dobbiamo rassegnarci «a viver come bruti»? (Dante, Inferno, XXVI, 119).
Non è solo in campo sessuale che si manifesta tale “sregolatezza delle pulsioni”. C’è anche la sregolatezza dell’aggressività. Impressionano i delitti provocati da rancori, odio, vendetta, violenze feroci, donne che scompaiono nel nulla o che vengono barbaramente eliminate.
Non sono da trascurare, poi, specialmente in tempo di crisi e difficoltà economica, le gravi sperequazioni tra cittadini, che possono essere anche legali, ma che appaiono francamente ingiuste e profondamente egoistiche. Mi pare di vedere, inoltre, un Paese ripiegato su se stesso, poco sensibile a livello governativo ai problemi della fame, del sottosviluppo, della cooperazione internazionale e di un nuovo ordine internazionale, dove invece sono attive delle élites e forze di volontariato.
Il 17 marzo si celebrerà la festa dell’Unità d’Italia. Penso che l’Italia abbia un particolare bisogno in questo momento, dell’aiuto di Dio. Nel 1994 Giovanni Paolo II indisse una grande preghiera del popolo italiano in vista del Giubileo del 2000, in una situazione – scriveva – in cui urgeva «la mobilitazione delle forze spirituali e morali dell’intera società». Penso che quell’appello del Papa, che sarà proclamato Beato il prossimo I° maggio, sia di viva attualità. Invito, perciò, le comunità cristiane, a proporre, il 17 marzo, particolari preghiere per la nostra Patria, per chi ha responsabilità di guida, come pure per il popolo perché ritrovi le più genuine sorgenti spirituali e morali, uscendo dalle acque stagnanti in cui versa.
Guardando alle nuove generazioni, ragazzi e giovani, mi pongo tanti interrogativi, che mi angustiano. Che cosa vedono, che esempi mostriamo loro? L’innocenza del cuore è uno dei doni più belli della vita di un fanciullo. Ma che ne è oggi? Chi parla agli adolescenti e ai giovani di purezza, quale genitore o educatore ha il coraggio di invitarli a consacrare la loro vita ai più nobili ideali? Quali modelli, quali ideali proponiamo loro, in quale futuro possono sperare? La comunità ecclesiale è impegnata in questo decennio (2010-2020) sul fronte dell’educazione proponendo «la vita buona del Vangelo». È quanto mai necessario e urgente che ci dedichiamo con sapienza e passione a questo compito.
A conclusione di questa riflessione riproponiamo la morale? La Sacra Scrittura, la teologia e la dottrina della Chiesa non partono dalla morale, ma dalla fede e dalla grazia di Dio, dalle sorgenti della vita spirituale per arrivare alla morale, alla rettitudine dei comportamenti. Non basta contrapporre alla “sregolatezza” delle “regole”; queste risultano solo delle “etichette” che si fa presto a cancellare, se non poggiano e sono motivate da valori iscritti nella coscienza, la quale a sua volta rimanda a Dio, come ben avevano compreso il pagano Socrate ed il filosofo illuminista Kant.
 
2. La conversione è questione di fede e di accoglienza della grazia di Cristo
La prima opera da compiere è quella di credere in Gesù Cristo (Gv 6,29), Via, Verità, Vita (Gv 14,6), Salvatore che libera dalle tenebre dell’intelletto e del cuore per donarci la vera vita.
San Paolo, nella Lettera ai Romani, ha descritto in maniera molto realistica, sulla base della sua esperienza personale e quella dell’umanità, la condizione dell’uomo senza la fede e la grazia di Gesù Cristo. Egli può fare del bene, perché la sua natura è fondamentalmente buona, ma non riesce a evitare il male, anche grave. Il peccato fondamentale è il non riconoscimento di Dio, il rifiuto di adorare Dio come Creatore e Padre, e quindi come Sorgente e Verità di tutto, in una relazione di fede, di obbedienza filiale, di amore. Il rifiuto di Dio corrompe la radice stessa dell’esistenza dell’uomo e del mondo; l’uomo non riesce più a percepire la realtà originaria della creazione e di se stesso nello splendore del Creatore. L’atteggiamento fondamentale che assume è quello ego-centrico, orgoglioso. Ma poiché è creatura limitata e peccatore, egli è incapace di dominare le passioni sregolate e finisce per soccombere al male. Fondandosi anche su descrizioni di autori del suo tempo, Paolo descrive a tinte fosche i vizi e la dissoluzione dei costumi caratteristiche della decadenza pagana. In fondo, la descrizione appare moderna; ciò significa che, nella sostanza, il peccato è vecchiume, anche se gli si mette un vestito nuovo. Il punto capitale svolto da S. Paolo è che l’uomo, se non è illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio in Cristo, è fatalmente succube del male. Il passaggio dal rifiuto del rapporto con Dio al deterioramento del retto rapporto con gli uomini, con la società, con il creato, è inevitabile. Ma ecco il soccorso che ci viene dalla grazia offertaci da Gesù Cristo. San Paolo con un senso profondo di liberazione afferma che non siamo più condannati a compiere il male con una schiavitù che ci incatena: «Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Gesù Cristo, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte» (Rm 8,2).
Un punto che merita di essere rilevato è che il peccato è castigo e punizione a se stesso: produce sempre, prima o poi, sofferenza in chi lo commette e disordine nei rapporti sociali. Dal peccato, che resta sempre una scelta libera personale, nascono le “strutture di peccato”, cioè leggi, istituzioni pubbliche, organizzazioni che corrompono i valori fondamentali e assoggettano l’uomo a forze perverse. Il Libro della Sapienza dice: «Con le cose con cui l’uomo pecca, con quelle viene punito» (Sap 11,16). Nel fare il bene, invece, si trova la pace della coscienza e del cuore, la serenità della famiglia, lo sviluppo sociale, il rispetto del creato: «E ’n la sua volontade è nostra pace» (Dante, Paradiso, III, 85).
 
3. La comunità cristiana chiamata a conversione
La conversione, oltre che personale di ciascuno di noi, dev’essere anche comunitaria, ecclesiale.
La Chiesa, infatti, nel suo essere è divino-umana; in virtù della sua dimensione divina è santa e santificatrice; ma nella sua dimensione umana – composta da uomini segnati dal peccato, da modelli di vita e scelte di azione difformi dal Vangelo – è sempre bisognosa di purificazione, di rinnovamento. Dobbiamo, anzitutto, credere fermamente che, all’interno stesso, nell’“anima” della Chiesa c’è la sorgente inesauribile della potenza di Cristo, del suo Spirito, potenza di rinnovamento continuo. È necessario che ci educhiamo a questa visione “sacramentale” della Chiesa. Comprendiamo allora perché siamo chiamati alla santità; lo siamo perché la Chiesa, nella sorgente profonda della sua vita, è santa. Attingiamo, dunque, a questa sorgente di conversione e di rinnovamento. Mettendoci davanti al Signore, sappiamo vedere e riconoscere, nella sua luce, le nostre mancanze e le nostre inadempienze.
Il libro dell’Apocalisse, nei capitoli 2-3, presenta un esame di coscienza che Cristo stesso fa alla sua Chiesa mettendo in rilievo luci e ombre, aspetti positivi e negativi. Loda la fede, l’impegno generoso, la fedeltà e costanza nella prova, la carità, la povertà. Ma rimprovera i compromessi di ordine dottrinale e morale, il cedimento a modelli pagani di vita, soprattutto il raffreddarsi dell’amore e la tiepidezza. Egli perciò invita caldamente la Chiesa a convertirsi, a destarsi dal torpore, a vincere l’inerzia e la routine, a ritrovare le pure e fresche sorgenti della fede, a ravvivare il fervore dell’amore.
Colui che parla alla sua Chiesa – e oggi siamo noi, le nostre comunità – è lo Sposo che desidera vedere la sua Sposa dal volto puro e giovanile, il cuore pieno di amore, non un volto coperto di rughe e di macchie, e un cuore freddo e arido.
Apriamo il nostro spirito per accogliere il desiderio intenso del Signore. Egli stesso ci dona la forza di ravvivare il fervore. Come Chiesa locale abbiamo intrapreso il grande impegno dell’Iniziazione cristiana con la consapevolezza che la cosa che più importa è fare delle nostre parrocchie un “grembo che genera alla fede”. Questo richiede, prioritariamente, di rinnovare il volto ed il cuore delle nostre comunità.
È solo una Chiesa così rinnovata e fervente che può annunciare e attirare a Cristo.
Ed ecco, allora, il programma che dovremmo accogliere. Lo indico in tre punti:
A) Ritornare al “cuore” della vita ecclesiale, al suo centro vitale: Gesù Cristo e il suo Vangelo, che è «potenza di Dio» (Rom 1, 16). Questo vuol dire: primato di Dio nella pastorale, priorità dell’adorazione e della contemplazione; la parrocchia che sia casa e scuola di preghiera, accompagni all’incontro con il Signore.
In questa ottica, vorrei incoraggiare i “Centri di ascolto della Parola di Dio”.
B) In secondo luogo è necessario la conversione dei modelli e stili di vita perché siano conformi alla concezione cristiana della vita, alternativi alla logica edonistica-consumistica-egoistica.
Modelli di sobrietà nei consumi, di purezza dei costumi e onestà nell’agire, di esercizio delle opere di carità. Questo esempio e questa testimonianza valgono più di tutti i discorsi e i dibattiti, che rischiano solo di rimanere astratti e di chiedere solo agli altri di cambiare.
C) In terzo luogo vorrei stimolare le nostre comunità a rinnovare lo spirito di missione; a non rinchiudersi in se stesse, ma aprirsi con umiltà e fiducia per testimoniare e proporre il cammino della vita cristiana. Il tempo di oggi – pur con tutta la sua pesantezza – è pur sempre il tempo di Dio, il tempo in cui Dio ci chiama a vivere e testimoniare la fede ed i valori del Vangelo. Siamo responsabili del nostro tempo davanti a Dio. Per questo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo e la sua forza è sempre con noi.
Nella prospettiva della conversione comunitaria, vorrei proporre alle comunità cristiane una celebrazione comunitaria della penitenza, con i membri dei consigli pastorali, catechisti, animatori, come momento di esame di coscienza davanti al Signore sul vissuto di fede, di carità, di testimonianza della propria comunità.
 
4. La Quaresima come palestra dello spirito
Il tempo della Quaresima ci sollecita a ravvivare il dono del Battesimo, che è la fonte della nostra stupenda dignità cristiana. Un buon numero di catecumeni sta preparandosi a ricevere questo sacramento insieme con la Cresima e l’Eucaristia, entrando quindi a far parte della Chiesa. Rappresentano, in un tempo di torpore spirituale e di disaffezione dalla Chiesa, un segno vivo della potenza dello Spirito. Costituiscono per noi un esempio e uno stimolo a impegnarci con maggiore convinzione e vigore nella vita cristiana.
Il tempo di Quaresima ci sollecita a rafforzarci nella fede e nel combattimento spirituale per vincere le seduzioni del Maligno e vivere nella libertà dei figli di Dio. La Quaresima è come una palestra dello spirito per allenarlo e rafforzarlo. Siamo infatti deboli e vulnerabili, soggetti a tentazioni, immersi in un’atmosfera di permissivismo. In un tempo in cui si reclama tanto la libertà, sono aumentate le dipendenze, alle antiche (alcool, giochi di azzardo…) se ne sono aggiunte di nuove: droga, Tv, Internet. Sono aumentati anche i “disagi dell’anima”. Nella storia e dentro di noi si svolge la lotta più drammatica: quella tra il bene ed il male. «Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (Concilio Vaticano II; GS, 37). Le proposte della Quaresima ci aiutano a recuperare la nostra identità più bella, a rinvigorirci interiormente, a ridare slancio al nostro spirito, a ravvivare la speranza.
La spiritualità della Quaresima ci propone la pratica del digiuno e dell’astinenza.
Pare di costatare la eliminazione de facto del digiuno dalla spiritualità e dalla prassi della vita cristiana, salvo a vederlo praticare per ragioni dietetiche o estetiche. Come causa ci può essere l’idea di sostituirlo con altri “valori”, in una visione spiritualistica disincarnata; ma questo non sarebbe per nulla da approvare, perché ignorerebbe che la persona è unità di spirito e corpo ed il corpo è la manifestazione necessaria e vitale dell’Io della persona nel tempo-spazio. Non possiamo dimenticare, poi, che Gesù stesso ha digiunato e all’inizio della Quaresima ci viene proposto precisamente l’esempio di Gesù che digiuna nel deserto.
Il digiuno è relativo alla fame, al bisogno di cibo, che rappresenta un appetito vitale. Nel bisogno di cibo proiettiamo la tendenze profonde del nostro Io. Ne è prova che vi sono patologie attinenti al cibo che non sono, tuttavia, patologie del corpo, ma dello spirito: anoressia, bulimia.
Il digiuno quindi ha un significato-valore antropologico e spirituale. Sul piano della nostra costituzione umana spirituale-psichica-corporea è ascesi del bisogno ed insieme educazione del desiderio. Bisogno e desiderio non coincidono.
Il digiuno, nel suo significato più profondo, è risposta alla domanda fondamentale per un essere corporeo-spirituale limitato e mai autosufficiente, ma aperto sull’Infinito come siamo noi: “Di che cosa vivo?”, “Di che cosa mi nutro?”. Ed ecco l’affermazione biblica, che Gesù ha ribattuto a Satana: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt, 4,4;cf. Dt 8,3).
Il digiuno è adorazione di Dio, il Bene Assoluto, Bene di ogni bene. È orientare il desiderio più profondo verso la comunione con Dio, l’Unico capace di saziare pienamente il desiderio che nessuna creatura, nessun possesso di questo mondo può appagare. L’adorazione di Dio mi libera dall’asservimento agli idoli di questo mondo che promettono vita e felicità, ma non le danno e rendono schiavi. L’adorazione e il senso profondo di Dio mi libera da tanti bisogni artificiali indotti dalla propaganda. L’adorazione e la comunione con Dio mi rende sensibile ai valori dell’amore, della giustizia, della fraternità, superando la chiusura egoistica.
Comprendiamo allora perché il digiuno è proposto in modo particolare in questo tempo di Quaresima: è dare tempo a nutrirci della parola di Dio in una relazione intima e filiale con il nostro Creatore e Padre. Il digiuno prima di partecipare all’Eucaristia ci educa al valore straordinario del nutrimento con il Pane vivo disceso dal cielo, il Pane della vita eterna (cf. Gv 6,51).
Vi sono, inoltre, altri valori, inclusi nella prassi del digiuno. Il prefazio di Quaresima così li presenta: «Con il digiuno quaresimale tu vinci le nostre passioni, elevi lo spirito, infondi la forza e doni il premio».
Vorrei sottolineare un altro importate aspetto: in un tempo di consumismo, di spese per soddisfare il lusso e il “look”, di sprechi insensati e scandalosi, mentre nel mondo vi sono milioni di persone denutrite e malnutrite perché mancano del cibo necessario, possiamo sentirci con la coscienza a posto se non rinunciamo a qualcosa di superfluo ed anche di necessario per donarlo gratuitamente a chi è nel bisogno?
Esorto vivamente a riscoprire il grande valore del digiuno e praticarlo con coraggio. Ci farà solo del bene.
Insieme col digiuno ci viene proposta anche l’astinenza dalle carni, il che non significa che dobbiamo convertirci ad una regime vegetariano che, del resto, hanno praticato e praticano anche
Comunità monastiche. Vorrei mettere in luce un particolare aspetto di ordine spirituale di questa pratica. L’astenersi dal mangiar carne di animali a sangue caldo ha, in questa ottica spirituale, il significato di interrompere il rapporto di violenza e di morte tra l’uomo e il mondo, il ritrovare la simpatia gratuita – San Francesco direbbe la fraternità con tutte le creature – realizzare la vocazione a vivificare la terra.
Il digiuno e l’astinenza dovrebbero esprimersi non solo sul piano personale, ma anche su quello comunitario. Nella tradizione della Chiesa, il digiuno è collegato alla carità, alla giustizia, alla solidarietà, al sostegno dei poveri, di famiglie e di comunità sorelle. In questa ottica, vi invito a programmare il digiuno anche come comunità. Per questo sono da valorizzare le indicazioni proposte alle parrocchie nel fascicolo “Cristiani si diventa” per la colletta domenicale e l’offertorio nella celebrazione eucaristica domenicale, che fanno riscoprire il senso ed il valore di questo gesto liturgico.
 
5. Riscopriamo il sacramento del perdono e della pace
All’inizio della Quaresima vorrei riproporre il ricorso al sacramento della riconciliazione.
Si tratta, anzitutto, di ri-motivare il suo valore, oggi piuttosto oscurato e incompreso, con gravi danni.
La cultura dominante, in effetti, in quanto prescinde dal Dio rivelato e incarnato, e dall’antropologia biblica e cristiana, si trova in grosse difficoltà a interpretare il male nella sua essenza, nella sua radice profonda e quindi a prospettare la soluzione. Da un lato si cerca di rimuoverlo dalla coscienza; dall’altro si assiste alla sua sovraesposizione mediatica. In realtà, il peccato intacca e perverte le facoltà dell’uomo: produce non-senso, tristezza profonda; altera i fini della vita, rovina le relazioni personali e l’ordine sociale.
Gesù Cristo ci dona la “remissione dei peccati”, il perdono di Dio, la riconciliazione della coscienza con Dio, con noi stessi e con il prossimo. È una grazia che ci viene tramite la Chiesa, rappresentata da un ministro di Cristo.
Sappiamo in teoria che siamo peccatori ma abbiamo davvero la sincerità, l’umiltà di confessarlo, di dire: «Il mio peccato io lo riconosco» (cf. Sal 50,5)? Riconoscersi peccatori e ricevere il perdono è di un valore immenso. Fa ritrovare il giusto orientamento della vita, dona la pace del cuore, è guarigione dai “disagi dell’anima”, oggi ampiamente diffusi.
Vorrei qui richiamare quanto ho scritto recentemente ai presbiteri riguardo ai benefici effetti di questo sacramento: «Tante persone si portano dentro ferite e piaghe profonde, dipendenze da cui non sanno liberarsi, sensi di colpa, angosce e depressioni, atrofia e paralisi spirituali. Le radici di questi mali solo ad un livello non semplicemente psichico, ma si nascondono nelle profondità dello spirito, spesso ignote alla stessa persona. Un buon confessore sa diagnosticare le cause profonde del male e come un vero medico dello spirito dona la grazia del Signore per la guarigione e la pace del cuore, il rinnovamento della volontà dalla schiavitù per vivere nella libertà dei figli di Dio» (Lettera ai Presbiteri, 21 agosto 2010).
Rinnovo l’invito ai presbiteri di ravvivare il valore di questo sacramento e a mettersi generosamente a disposizione dei fedeli, fissando i tempi in cui sono presenti.
 
Con fede e fiducia verso la Pasqua
Intraprendiamo il cammino della Quaresima con l’animo pieno di fiducia in Dio che ci chiama a conversione ed è capace di rinnovare la nostra vita personale e sociale.
Non ci è richiesto di fare cose straordinarie, ma anzitutto un cambiamento interiore, un cuore nuovo, uno spirito nuovo, per compiere quei gesti che la Quaresima ci suggerisce. È attraverso queste scelte che attingeremo l’ispirazione e l’energia di un autentico rinnovamento.
 
Antonio Mattiazzo
Vescovo di Padova
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