Giovani al centro della riflessione di Openfield

Di generazione in generazione. Verso la città futura

C’è Paolo, classe 1950 e c’è Federica, classe 1980. Stesso percorso formativo – laurea in economia – stessa votazione, 100. A far la differenza è il tempo storico e il quadro economico, in cui si sono affacciati al mondo del lavoro. Paolo trova velocemente un impiego a tempo indeterminato e ora gode di una pensione quasi pari al suo ultimo reddito. Federica, invece, fatica a entrare nel mondo del lavoro, e solo dopo una serie di impieghi precari raggiunge il posto fisso, ma con una certezza quando andrà in pensione (orientativamente sui settant’anni) avrà un reddito nettamente più basso del suo ultimo stipendio.

Parte da queste due storie l’intervento di Tito Boeri, presidente dell’Inps, in occasione di Openfield 2016 (Di generazione in generazione. Verso la città futura – 26 novembre 2016) il “campo aperto” sulle problematiche sociali e civili che Scuola di Formazione socio politica della Diocesi di Padova e le principali aggregazioni laicali – Azione cattolica, Agesci, Acli, Noi associazione, Csi – da anni organizzano con successo e interesse di pubblico.

Due storie – quelle di Paolo e Federica – che rappresentano chiaramente com’è cambiato il contesto sociale e lavorativo già a partire dagli anni Novanta, con un’ulteriore accelerazione dovuta alla recessione innescata dalla crisi degli ultimi otto anni. Se “prima” infatti era normale che la generazione successiva stesse meglio di quelle che l’avevano preceduta, oggi si verifica l’esatto contrario, e in Italia si è aperta una grande questione giovanile, che vede evidenze all’interno del mercato del lavoro (disoccupazione, calo salariale, diminuzione della formazione in azienda), un disagio economico crescente con rischio povertà e vulnerabilità per le fasce giovanili, una crescita dell’emigrazione per cercare migliori soluzioni.

La domanda del presidente Inps è allora: «Un paese che continua a investire su chi ha smesso di lavorare ha delle prospettive?». La risposta di indirizzo: «dobbiamo puntare a chi ha capacità innovativa (e la grande creatività si esprime relativamente presto tra i 25 e i 35 anni) e bisogna fare attenzione a togliere le risorse destinate a chi deve entrare nel mondo del lavoro».

Come? Migliorando il mercato del lavoro; intervenendo di più sulla transizione scuola-lavoro, specie a livello universitario, con trienni davvero professionalizzanti; rendendo più strutturali le modalità di accesso al mondo del lavoro, con flessibilità in ingresso alle imprese e percorsi di lungo periodo ai lavoratori; favorendo occasioni di trasmissione di conoscenze tra generazioni nelle aziende.

Se si guarda poi all’universo giovani in Italia, secondo quanto emerge dal Rapporto dell’Istituto Toniolo, illustrati da Cristina Pasqualini, si notano alcuni punti fermi – la famiglia e gli affetti – ma cala l’interesse e la fiducia delle giovani generazioni verso le istituzioni, l’impegno politico e sociale, mentre cresce la percezione che i problemi siano generazionali e quindi si cercano risposte collettive. Quella giovanile è una generazione stanca, sfibrata e sfiduciata nei confronti delle istituzioni, però molto più mobile, con caratteristiche di vulnerabilità ma anche di resilienza. In particolare i giovani puntano molto sulla capacità relazionale, consapevoli che lavorare in gruppo e condividere sono elementi fondamentali per il loro presente e futuro.

E la Bibbia cosa dice sul tema “di generazione in generazione”? A rispondere è la biblista Rosanna Virgili, in un passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. La Bibbia fin dal suo inizio ci dice che «le generazioni sono l’ordine del mondo. Se non ci fossero le generazioni che si alternano, non ci sarebbe la vita». È una storia di passaggi, di consegna, di fedeltà, di eredità tramandata e di proprietà che ha a che fare con il rapporto di padre in figlio, con una continuità, in cui lo scopo però non è individualista, ma è la vita della comunità. «La Bibbia ci dice che nessun individuo può salvarsi da solo, ci dice che la singola famiglia ha bisogno anche dei figli dell’altra famiglia». E Gesù, interrompendo la continuità generazionale, di fatto apre e sottolinea «l’appartenenza a una famiglia universale», evidenzia che la vita viene da Dio e che «le discendenze sono un dono gratuito e non possiamo difenderle con il sangue. La discendenza del cristiano – conclude Virgiliviene dalla memoria, ma anche e soprattutto dal futuro, da ciò che diventeremo, senza stabilire una distinzione basata sulla proprietà».

Il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, ha concluso la mattinata di Openfield sottolineando come «siamo chiamati a essere padri e madri» rispetto alle nuove generazioni. «Come Chiesa dobbiamo generare il nostro futuro, educando, ossia tirando fuori cosa c’è di bello nei nostri giovani». È la sollecitazione che sta alla base del Sinodo dei giovani, attualmente in preparazione, che li vuole rendere protagonisti. «Noi abbiamo bisogno dei giovani – ha concluso il vescovo – essere padri e madri è una crescita per tutta la comunità. Con il Sinodo desideriamo chiedere loro di essere protagonisti, di prendersi responsabilità».

Fonte: Ufficio stampa diocesano

 

Foto: Andrea Cavinato

Openfield 2016

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