Diario di un pellegrinaggio in Turchia

Otto giorni in Turchia da Smirne a Istanbul, passando per Efeso, Mileto, Gerapoli (ossia Pamukkale), Iconio (Konya), Antiochia sull'Oronte . Ogni giorno a disfare e fare la valigia e cambiare albergo. Ed è quello che fanno a migliaia i turisti in visita ad un paese affascinante e inquietante come la Turchia. Ma per un gruppo di 21 persone (due preti e una religiosa, qualche nonno e nonna, sei insegnanti di religione, un medico econ la moglie) partite da Padova lo scorso luglio (13-20 luglio), non è stato solo questo.
Di seguito un piccolo diario di viaggio stilato da mons. Franco Costa, vicario episcopale per la catechesi della Diocesi di Padova, che ha guidato il pellegrinaggio.


 
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Programmaticamente ci siamo detti che è importante non solo vedere e consumare, ma incontrare le persone, i cristiani specialmente che in quel paese vivono. Interessa conoscere più a fondo il Paese che è ponte fra Europa e Asia, che potrebbe diventare presto membro dell'Unione Europea, la cui storia anche di questi ultimi anni è segnata dal sangue di cristiani, sintomo di tensioni interne sicuramente non risolte anche nei confronti di altre minoranze (curdi, aleviti, armeni…). Volevamo insomma che il nostro viaggio si distinguesse dal consumismo ludico del turismo commerciale di massa per farne una esperienza culturale e spirituale che, in ciascuno, lasci il segno.
 


A partire da Smirne e dal suo vescovo
L'arcivescovo è il frate cappuccino Ruggero Franceschini, predecessore a Iskenderun del vescovo assassinato il 3 giugno Luigi Padovese e ora amministratore apostolico di quello stesso vicariato. Non può tacere le sofferenze degli ultimi cinque anni dei cristiani di Turchia: dall'omicidio di don Andrea Santoro (5 febbraio 2006) e poi, a seguire, il ferimento dell'anziano padre François a Samsun e del superiore dei Cappuccini di Turchia p. Adriano, il crudele massacro di tre cristiani protestanti a Malatya, l'uccisione del giornalista armeno Hrant Dink e ultima l'uccisione del vescovo Luigi il 3 giugno 2010 a Iskenderun. Eppure – dice mons Franceschini – anche questo è per noi cappuccini un periodo bello. Riscopriamo la forza della Croce”. Ci parlava nella piccola artistica con-cattedrale di Smirne dedicata al suo primo vescovo, il martire Policarpo (anno 165 dopo Cristo). E ripeté le parole gridate nel Duomo di Milano, al funerale del vescovo Padovese: “Non lasciateci soli. Noi continuiamo a sperare nell'aiuto delle diocesi italiane, un aiuto fatto di visite , di presenze volontarie, di ministri ordinati per formare di nuovo una chiesa di Turchia”. Un grido che il vescovo Antonio ha fatto suo già all'indomani del funerale, invitando le comunità della diocesi di Padova ad assicurare non solo preghiere, anche pellegrinaggi.
La Turchia è la Terra santa della Chiesa, come la Palestina è la Terra santa di Gesù. Perché l’evangelizzazione dell’Europa e della nostra penisola è debitrice prima ancora di Aquileia, di quei primi missionari con Paolo partiti dalle comunità dell’Anatolia. L'incontro con l'arcivescovo di Smirne ha subito dato al nostro viaggio quello che doveva essere il suo significato: un pellegrinaggio sui luoghi della memoria delle origini cristiane e di testimoni straordinari anche oggi.


Sui passi di Paolo e di Giovanni 
Dopo una rapida visita della città di Smirne, modernamente ricostruita dopo il terribile devastante incendio del 1922, arriviamo presto a visitare le rovine dell'antica Efeso greco-romana e cristiana, la basilica e la tomba intatta dell'apostolo Giovanni, i resti solenni delle antiche sedi cristiane di Magnesia sul Meandro e di Mileto, il tempio favoloso di Apollo a Didima. In quei luoghi si è letto e riascoltato i racconti di Luca (Atti degli apostoli), i discorsi di Paolo e qualche pagina dell'Apocalisse di san Giovanni. D'ora in poi avvertiamo che la lettura di quelle pagine del Nuovo Testamento non sarà più come prima, le vicende di quelle antiche comunità sono eloquenti e profetiche per la chiesa e le comunità di oggi.
Ce ne dà conferma a Efeso il giovane Mesut, frate cappuccino turco e presbitero ordinato appena un paio di anni fa dal vescovo martire Luigi. Ci troviamo sulla piccola spianata in terra battuta accanto alla Casa di Maria (Meryem Anà), all'ombra di due alberi frondosi. Ci racconta della venerazione di quel luogo frequentatissimo anche dai musulmani, della custodia militare voluta dallo stato a protezione di quel luogo, del saio che può indossare solo all'interno di quello spazio (ove pubblicamente è raccomandato un religioso silenzio). Parlano non solo le sue parole, ma i suoi occhi, la dolcezza del suo italiano appreso negli anni della formazione nella provincia emiliana dei Cappuccini, la sua presenza esile sotto il largo saio, e le sue parole bisbigliate sotto voce …
Le rovine e il paesaggio non bastano a parlare da soli: sulla tomba di san Giovanni rinnoviamo le promesse del nostro battesimo, nel teatro di Efeso ascoltiamo il racconto della rivolta degli argentieri contro Paolo, davanti alle rovine della basilica di S. Maria in Efeso (sede del concilio del 431 che ha definito Maria “Madre di Dio”) proclamiamo il Credo, a Mileto, dinanzi al maestoso teatro, leggiamo il grande discorso di Paolo ai presbiteri della comunità di Efeso. Così come nei giorni a seguire ascolteremo di fronte agli scavi maestosi di Laodicea la lettera dell'Apocalisse a quella chiesa, ad Antiochia di Pisidia il discorso magistrale di Paolo in quella sinagoga, a Konya la narrazione della persecuzione contro di lui e Barnaba, e il prolungarsi della loro missione nelle città di Listra e Derbe.
 
 
Turchia e UE: parlando con la guida
In Turchia è d'obbligo la presenza sul pullman di una guida patentata turca. La si ascolta e si parla su vari argomenti. Per esempio, sull'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, evento da auspicare, diciamo noi, a certe condizioni. In primo luogo si vorrebbe che la Turchia si dia delle leggi che garantiscano una vera libertà religiosa. La nostra guida reagisce bruscamente: il numero delle chiese aperte in Turchia (un centinaio e poco più) dimostra che “la libertà religiosa è già realtà nel Paese”. E del resto, dice, “la Turchia è da secoli Europea, come nel 1480 quando stava in Puglia (lo ricordano ancora ogni anno a Otranto il 13 agosto!) e fino al 1683 quando giunse fin sotto le mura di Vienna”.
Questi due momenti storici secondo la storiografia che noi conosciamo non evocano vicende pacifiche e la citazione ci lascia allibiti. Non abbiamo ritenuto di proseguire o di toccare poi di nuovo quel tasto: non per disagio o per paura riguardo a noi, ma per il timore di recar danno e compromettere le persone e le piccole comunità che ci apprestiamo ancora a visitare. Delle guide in Turchia è giusto aver stima senza pregiudizio. Ma la cultura dei diritti umani – come il diritto di manifestare e gestire liberamente la propria fede religiosa – domanda tempi e generazioni, istituzioni e leggi che si fanno ancora attendere… e che per certo avverranno, noi lo crediamo. Ha ragione il vescovo di Smirne che suggerisce: andando in Turchia, “si richiedano guide che la chiesa stessa di Turchia ha cura di formare e promuovere”.
 
 
Le piccole comunità cristiane
Abbiamo fatto conoscenza di altre piccolissime comunità cattoliche: a Konya dove vivono due suore italiane (temporaneamente assenti perché in Italia e momentaneamente sostituite da due monaci trentini che vivono in un minuscolo villaggio della Cappadocia); a Tarso, nella comunità delle tre Figlie della chiesa italiane; ad Antiochia sull'Oronte. A parte la parrocchia di Antiochia, in nessuna di quelle località è consentito a quei cristiani di parlare di religione e di fede cristiana fuori della propria casa, di donare un libro del vangelo e perfino di fare opere caritative: tutto ciò ricadrebbe nella propaganda religiosa che la laicità com'è intesa in Turchia vieta. La loro è una presenza silenziosa in pratica. Solo la loro vita, la benevolenza di cui sono circondati da parte dei vicini, lo stile delle loro relazioni sono “Vangelo”. Vi pare poco? Sembrano dire…
 
 
La parrocchia di Antiochia 
La comunità cristiana di Antiochia fa eccezione per molti versi. Perché Antiochia è una città cosmopolita fin dal millennio avanti Cristo; perché è appartenuta alla Siria fino al 1939 con una significativa presenza cristiana (ortodossa ma non solo); perché non ha mai smarrito lungo i secoli la memoria di essere la città dove i cristiani hanno cominciato ad essere chiamati così, città per prima evangelizzata da anonimi ciprioti cristiani e poi da Barnaba, da Saulo di Tarso, da Pietro e da Luca, né si è dimenticata di essere stata sede di una scuola teologica prestigiosa fin dal II-III secolo dopo Cristo e di aver dato i natali e la fede a santi Padri come Giovanni Crisostomo.
Ad Antiochia l'intraprendente padre cappuccino Domenico Bertogli ha impostato una azione pastorale di grande respiro ecumenico, stringendo rapporti di collaborazione ecclesiale con la comunità ortodossa, spezzando anche per loro il pane della Parola e il Pane dell'Eucaristia. Grazie alla generosa collaborazione del vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo, la Latin Catholic Kilisesi (chiesa latina cattolica) ha potuto arricchirsi della Casa San Luca e di una piccola casa di spiritualità, un complesso edilizio di non grandi dimensioni ma compatto e chiaramente identificabile che – mentre ospita due famiglie cristiane e alcuni giovani universitari cristiani, e può offrire ospitalità a piccoli gruppi in autogestione – dà una certa visibilità alla sede parrocchiale, negli angusti vicoli del centro storico. All'interno di questo complesso la parrocchia può assicurare indisturbata le sue attività di evangelizzazione e di carità. Al parroco è data anche una guardia del corpo. Accettando questo servizio egli sa di essere ad un tempo custodito e controllato.
 
 
Qualche riflessione per concludere e rilanciare
L'esperienza di un pellegrinaggio in Turchia ha ricadute significative anzitutto nel vissuto spirituale personale, ma può rifluire vantaggiosamente nella vita ecclesiale e nella temperie spirituale delle nostre comunità e aiuta a discernere riguardo a interrogativi che sono sulla bocca di tutti: è bene o no, è da augurarsi o no che si stabiliscano rapporti più aperti e di libero scambio tra la Turchia e i paesi europei? Sono domande non oziose, stante la diffusa riluttanza nel nostro paese ad aprire le porte dell'Europa alla Turchia.
Il vescovo Luigi Padovese ha sempre creduto alla vocazione europea della Turchia e per questo traguardo si è speso con tutte le sue risorse culturali e spirituali, pastore del dialogo e profeta di riconciliazione e di pace. Basti rileggere le sue conversazioni tenute in diocesi di Padova il 12 febbraio 2007 e il 26 maggio 2010.
La vocazione della Turchia è rivolta verso l'Europa sia perché è naturalmente ponte tra le culture e luogo di incontro e di dialogo tra popoli, come ha detto Benedetto XVI, sia in considerazione delle riforme dettate dal suo fondatore Ataturk e della sua Carta costituzionale. La Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e doveri, uomini e donne, indipendentemente dalla religione; il matrimonio è monogamico; il potere politico e le leggi non attingono al Corano e alla sharia; l'alfabeto voluto da Ataturk per quella lingua di varie ascendenze etniche e culturali nei suoni e fonemi, è costruito con caratteri latini; la settimana riconosce un solo giorno festivo, la domenica… Sono caratteri della cultura e della società che collocano la Turchia lontano da tutti gli altri paesi a maggioranza musulmana (Arabia saudita, Iran, i paesi del Magreb…).
E soprattutto, per noi cristiani, la “Terra santa della Chiesa” è bene sia visitata e frequentata: per favorire l'incontro e la conoscenza dell'occidente e delle sue radici cristiane, il dialogo tra cristiani e musulmani, il confronto tra diversi sistemi socio-istituzionali; in una parola, per dare forma al principio della laicità in senso positivo: non come esclusione della dimensione religiosa e di ogni manifestazione religiosa, ma come assetto che riconosce e garantisce la libertà religiosa, nel rispetto della giusta autonomia delle realtà temporali tra le quali in primis la comunità politica.
In questo senso occorre riconoscere quanto bene la Turchia potrebbe ricevere dalla presenza sicuramente numerosa di turisti che provenendo dall'Occidente europeo siano anche consapevolmente testimoni di quelle radici cristiane di cui siamo debitori verso l'antica Anatolia.
Si tratterebbe di approfondire e promuovere uno stile meno anonimo e consumistico di turismo: forse non di massa, ma qualificato nel “far parlare” quei monumenti che sono in Turchia memoria di antichi fastigi cristiani, un turismo capace di far conoscere testimoni d'un tempo e oggi ancora significativi.
Si tratta di far propria la provocazione di mons. Padovese della strategia dei “piccoli passi”, come diceva ad Este, dieci giorni prima di morire.
Un turismo intelligente di comunità cristiane potrebbe portare il messaggio di Benedetto XVI: che “il valore guida dei credenti è, oltre alla fede la ragione e non la violenza”.
 

mons. Franco Costa
 

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